
Contratto di inserimento, apprendistato, lavoro a progetto, lavoro intermittente e partite Iva. Si muovono lungo cinque direttrici le proposte di modifica avanzate dai liberi professionisti al Parlamento per rendere più omogeneo ed equilibrato il disegno di legge che punta a riscrivere le regole del mercato del lavoro, attualmente all’esame della Commissione lavoro di Palazzo Madama. Lo scorso 18 aprile, il presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella, ha rappresentato al Senato una serie di valutazioni che tengono conto delle specificità dell’intero settore dei liberi professionisti: dall’area economica e lavoristica al comparto della sanità e della salute, dagli operatori del diritto e della giustizia, ai tecnici dell’ambiente e territorio. Nel pieno spirito di collaborazione e compartecipazione, l’obiettivo della Confederazione dei liberi professionisti è quello di segnalare al Parlamento le criticità che ingessano le dinamiche occupazionali all’interno degli studi professionali e individuare possibili linee di intervento per favorire l’occupazione nell’ambito della libera professione. Il documento depositato in Commissione analizza in profondità il Ddl sulla riforma del lavoro varato dal governo nelle scorse settimane, riconoscendo al ministero del Lavoro gli sforzi compiuti ma segnalando al tempo stesso le criticità che emergono dal disegno di riforma. Vediamoli.
Contratto di inserimento. Il giudizio di Confprofessioni sulle nuove disposizioni contenute nel disegno di legge che elimina tale tipologia contrattuale è assolutamente negativo. Il contratto di inserimento ha finalità marcatamente occupazionali, più che formative, di categorie di persone socialmente deboli. Se alcune di esse (lavoratori anziani, donne in aree svantaggiate) verranno intercettate attraverso il ricorso a strumenti di incentivazione (art. 53 ddl) è altrettanto vero che tale tipologia contrattuale non potrà essere facilmente sostituita attraverso il ricorso del contratto di apprendistato per i soggetti più giovani. L’apprendistato pur avendo l’obiettivo di favorire un’occupazione giovanile e di qualità ha indubbiamente una componente formativa, che potrebbe risultare, in talune circostanze, inutile nei confronti di lavoratori già specializzati e qualificati.
Apprendistato. Confprofessioni applaude alla scelta del ministro del Welfare, Elsa Fornero, di considerare il contratto di apprendistato come il canale privilegiato per l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. Sottolineando come il settore professionale, attraverso il CCNL studi professionali, sottoscritto da Confprofessioni con le controparti sindacali, abbia regolamentato, primo in Italia, l’apprendistato secondo le disposizioni del nuovo Testo Unico, tale strumento contrattuale rappresenta una occasione fondamentale per lo sviluppo occupazionale negli studi professionali. Tuttavia, rileva la Confederazione, il periodo di trentasei mesi attualmente previsto dal ddl per il calcolo della percentuale di conferma è eccessivamente ampio e certamente costituisce un deterrente all’assunzione di nuovi apprendisti in particolar modo nelle piccole e medie strutture produttive. Secondo i liberi professionisti, la riduzione della metà di tale periodo (18 mesi) rappresenta un giusto equilibrio tra le esigenze di tutela dei lavoratori e la creazione di prospettive occupazionali attraverso l’utilizzo del contratto di apprendistato.
Lavoro a progetto. Nella relazione al ddl si fa riferimento a previsioni tese a razionalizzare il lavoro a progetto per evitarne l’utilizzo distorto da parte del committente, che trovano il favore dei professionisti. Tuttavia, la limitazione alla facoltà di recedere dal contratto prima della realizzazione del progetto è posta solo a carico del committente, con il rischio per quest’ultimo di vedersi privato della collaborazione del prestatore, con la conseguente mancata realizzazione del progetto.
Lavoro intermittente. Il ddl riduce le ipotesi di ricorso al lavoro intermittente escludendo, però, quelle categorie di lavoratori più bisognosi: giovani fino a 25 anni e over 45. Appare condivisibile l’intento del Governo di fare della contrattazione collettiva (con l’abrogazione degli articoli 37 e 40 del d.lgs. n. 276/2003) l’unico strumento legittimato a regolamentare al meglio tale istituto per incrementare l’occupazione delle fasce più deboli e favorire l’emersione del lavoro nero. Tuttavia, la razionalizzazione e la semplificazione nell’uso di tale contratto non giustifica l’introduzione di adempimenti burocratici come l’obbligo di comunicazione della chiamata alle Direzioni Territoriali del Lavoro, il cui unico effetto non potrà che essere il disincentivo al ricorso al lavoro intermittente. Tale risultato è aggravato, poi, dalla previsione di una sanzione amministrativa (da 1.000 a 6.000 euro) nel caso di mancata comunicazione da parte del datore di lavoro.
Partite Iva. Sul fronte delle Partite Iva ci troviamo di fronte ad una disposizione che se dovesse trovare definitiva approvazione nei termini indicati dal disegno di legge e successivamente non fosse accompagnata da adeguate interpretazioni porterà ad effetti negativi. Sull’urgenza di contrastare gli abusi con titolari di Partita Iva, Confprofessioni è stata l’unica organizzazione a porre all’attenzione del Governo la necessità di tenere nella dovuta considerazione l’attività libero professionale. L’esigenza è quella di estendere, attraverso politiche di promozione, tutele di welfare a quei lavoratori e quelle lavoratrici che, nonostante la loro autonomia funzionale, svolgono la loro attività in posizione di dipendenza economica (esclusiva o prevalente) rispetto ad un unico committente. Deve d’altronde tenersi in conto che soprattutto nell’ambito delle prestazioni professionali svolte all’interno degli studi, questa tipologia rappresenta il “trampolino di lancio” soprattutto per i giovani professionisti che con tale opportunità di lavoro si affacciano nel mercato.