Perché non tutti indossano le mascherine?

Dodicesimo contributo della rubrica Spazio Psicologico a cura di PLP di Antonio Zuliani Membro del CEN di PLP     In queste settimane assistiamo a manifestazioni pubbliche all’interno delle quali le persone sembrano dimenticare le misure di sicurezza (distanza e uso di mascherine) utili, anzi indispensabili, a ridurre la possibilità di contagio da Sars-Cov-2. Un
Dodicesimo contributo della rubrica Spazio Psicologico a cura di PLP

di Antonio Zuliani

Membro del CEN di PLP

 

 

In queste settimane assistiamo a manifestazioni pubbliche all’interno delle quali le persone sembrano dimenticare le misure di sicurezza (distanza e uso di mascherine) utili, anzi indispensabili, a ridurre la possibilità di contagio da Sars-Cov-2.

Un giudizio di ordine morale non sembra utile per spiegare questi comportamenti, anche perché messi in atto da persone che soggettivamente dichiarano spesso di essere d’accordo con le misure stesse.

 

 

Una spiegazione la possiamo intravedere ricordando come spesso sia difficile per la singola persona discostarsi dai comportamenti degli altri. Si tratta di una realtà che aveva evidenziato lo psicologo polacco Solomon Asch fin dai suoi esperimenti del 1956.

Analizzare il lavoro di Asch può essere utile, non solo per spiegare questi fenomeni, ma anche per individuare strategie utili a diminuirne l’espansione.

 

 

Asch mostra a un gruppo di persone un segmento e chiede a ognuno di loro di decidere quale dei tre segmenti presentati a parte sia della stessa lunghezza. Nel gruppo tutti i membri a parte uno (quello oggetto del test) sono suoi complici ai quali è stato assegnato il compito di dare una sequenza precostituita di risposte esatte e sbagliate. I risultati ci mostrano che il 25% dei partecipanti assoggettati al test non si conforma mai alle opinioni espresse dal gruppo, mentre il 75% si conforma almeno una volta e di questi addirittura il 5% si adegua completamente alle risposte fornite dagli altri.

 

 

Per raggiungere questo obiettivo non è necessario che tutto il gruppo abbia già trovato fin dall’inizio un accordo, ma è sufficiente che appartenervi sia importante per i singoli soggetti o che al suo interno vi sia una minoranza che mostri unità e compattezza nelle proprie opinioni (Brown, 1989.)

Una particolare e pericolosa evoluzione di questa tendenza è determinata da quello che viene chiamato “groupthinking” che è la tendenza di un gruppo chiuso e coeso a conformarsi a un’opinione con il conseguente indebolimento delle capacità razionali e critiche dei suoi membri (Janis, 1972).

 

 

Se questo spiega la forza del gruppo nel determinare i comportamenti dei suoi membri, lo stesso Asch mostra una strada per diminuirne la forza.

Infatti, solo una lettura superficiale di questi dati può far pensare che la singola persona abbia ben poche possibilità di attivare comportamenti diversi dal suo gruppo di appartenenza. Ma quel 75% di persone che manifestano una, seppur minima, capacità di sottrarsi alla forza del gruppo, sottolineano con decisione le necessità di non diminuire la campagna informativa circa le misure di protezione dal contagio.

 

 

Fornire sostegno alle scelte delle singole persone è un dovere per tutti coloro (in specie del mondo politico e dell’informazione) che hanno la possibilità di influire. Proprio a sostegno di quel 75% che risultano variamente influenzabili occorre agire: non si tratta di affidarsi a semplici raccomandazioni, ma di fornire esempi di comportamenti virtuosi. Si tratta di una responsabilità che grava su tutti e in misura crescente su chi ha un’immagine pubblica significativa.