di Antonio Zuliani
psicologo psicoterapeuta
membro del CEN dell’Associazione Psicologi Liberi Professionisti
In queste ore si sta avviando, anche se solamente in modo simbolico, la campagna vaccinale contro il Sars-Cov-2.
Una notizia che riempie di speranza, ben alimentata dalla campagna comunicativa in atto, che arriva a promettere che il virus sarà vinto in pochi mesi.
Accanto a questo evento serpeggia però una sorta di diffidenza, se non di paura. Non mi riferisco ai negazionisti o alle persone contrarie per principio all’utilizzo dei vaccini. Penso piuttosto a quanti guardino con diffidenza tutto quello che sta accadendo, con quella sorta di “sì, mi vaccinerò, però aspetto per vedere se darà problemi!”; oppure “ma se mi vaccino, perché devo portare ancora la mascherina? Non funziona?”.
Come non comprendere queste paure a fronte delle tante (troppe) dichiarazioni che si leggono sui giornali o si sentono in radio e televisione? Mai come ora sembra che si sia chiamati non tanto a esprimere un proprio parere, ma a schierarsi. Sintomo di ciò è una frase che si legge sempre più spesso nei giornali e nei social, “tizio ha asfaltato caio”, come se il fine non fosse il confronto, ma la prevalenza di un’idea su di un’altra.
La paura è una spinta importante all’azione protettiva, ma quando viene utilizzata per ingrossare il fine di un’idea diventa molto pericolosa: si può trasformare in fanatismo. E questo non è mai una buona soluzione: il fanatismo, anche se al sevizio di un’idea giusta la corrode dentro e la rende malsana. Se ci pensiamo, è quanto rischia di avvenire sul tema dell’obbligatorietà dei vaccini.
C’è, invece, un tema che dovrebbe essere al centro di ogni ragionamento: quello della responsabilità sociale. Proprio un minimo di responsabilità sociale ci ha permesso, con l’uso delle mascherine, del distanziamento e dell’igiene, di tenere a bada la pandemia. Imparare e far tesoro dell’esperienza è una delle doti dell’uomo: usiamola per ragionare anche sul vaccino. Vediamolo come un mezzo per vincere assieme la pandemia perché, anche quando il virus sarà messo sotto controllo, le conseguenze sociali ed economiche che ci lascerà da gestire chiederanno un’umanità sempre più consapevole e compatta nell’affrontare il domani. Altrimenti il virus avrà vinto, anche se biologicamente inoperoso.