Eurocrazia green

Dalle auto a emissioni zero alla direttiva case green, passando per la sostenibilità aziendale e le politiche agricole, l’Unione europea sta trasformando la nostra economia e la nostra vita per raggiungere gli obiettivi della transizione ecologica. L’intento è nobile e condivisibile, ma non tiene conto delle profonde diversità tra i Paesi membri. E il sogno dell’Europa a impatto zero rischia di diventare un incubo per l’Italia

Di Alessia Vincenti, da Il Libero Professionista #11

Case green e auto a emissioni zero. Un mondo fatato, fatto di aria pulita e abitazioni a consumo zero, da ora al 2035. Tutto fantastico, fiabesco appunto, se non fosse una rincorsa disperata a tutto quello che non è stato fatto da decenni per garantire un minore impatto sull’ambiente. E che non considera la necessità di un passaggio ordinato verso il “nuovo mondo”. Nell’Unione europea a guida Ursula von der Leyen, non si guarda in faccia a nessuno: bisogna pensare in grande, anzi in “verde”, al costo di lasciare al verde interi comparti produttivi. Pazienza.

Addio alle auto a combustione

L’ultima vicenda è il colpo rifilato al comparto dell’automotive: dal 2035 non può essere venduto un solo veicolo che non sia a emissione zero. In sintesi: stop totale alle vetture a benzina e diesel, perché il motore a combustione non sarà più accettato sul suolo europeo. Peraltro, già nel 2030 sono stati fissati degli obiettivi intermedi con la riduzione dell’impatto ambientale pari al 55% per le autovetture e al 50% per i furgoni.

Un progetto apprezzabile per la transizione ecologica, anzi ammirevole, ma che non ha le fattezze della transizione: è un’imposizione che non valuta alcuna conseguenza sul mondo reale.

Tanto da mettere le aziende produttrici di fronte alla necessità di modificare già oggi, nell’immediato, l’orientamento al mercato. E non è che si tratti di una passeggiata al mare. Peraltro gli effetti si manifesteranno fin da subito: prima di acquistare una macchina “nata vecchia” (sebbene potranno circolare ancora dopo il 2035, a patto che sia stata immatricolata prima di quell’anno), il cittadino ci penserà su due volte, preferendo attendere il futuro dell’elettrico.

Perciò il settore delle auto, già in affanno da tempo per le crisi economiche che si sono susseguite, è destinato a subire una brusca frenata. E addirittura intravede dinanzi a sé una corsa verso il baratro.

Inquinamento di mercato

La svolta green finisce, peraltro, per avvantaggiare alcune aziende a danno di altre, creando un meccanismo di inquinamento non ambientale ma del mercato. Un mondo black per alcune società e ancora di più per i dipendenti. Chi è messo meglio avrà una posizione di oggettivo vantaggio, quasi dominante, mentre le concorrenti dovranno adattarsi e passeranno una fase alquanto critica. Il gap non si recupera con una bacchetta magica verde, con buona pace della sinfonia delle buone intenzioni ecologiste. È un compito che necessita di una profonda revisione: ha bisogno di anni. Tutto questo accade come se la lezione delle proteste del passato, tanto per fare un esempio l’onda dei gilet gialli in Francia, non avesse insegnato nulla sul fatto che la transizione ecologica debba essere una mano tesa ai cittadini. In questo modo si configura un dito in un occhio, soprattutto per quei lavoratori che in nome dell’evoluzione verde perderanno il posto di lavoro.

 Un regalo alla Cina

«La messa al bando totale dei motori a combustione dal 2035 e la conseguente elettrificazione a tappe forzate è un grave errore industriale e politico, che mette a rischio migliaia di aziende e fino a 500mila posti di lavoro nella filiera dell’auto», ha commentato infatti l’eurodeputato di Forza Italia, Massimiliano Salini, evidenziando le conseguenze della decisione europea sull’Italia.

Con un’onda lunga che può estendersi ad altri Paesi dell’Ue, messi peggio in materia di produzione verde. Un’altra forma di concorrenza sleale. E non solo. L’accelerazione verso l’elettrificazione dei veicoli può far scontrare l’Occidente, in primis l’Europa, contro il muro della dipendenza dalla Cina per il reperimento delle materie prime necessarie per la costruzione di batterie. L’iniziativa «danneggia gli operai italiani, l’industria italiana gli artigiani italiani e avvantaggia solo la Cina che è la più grande produttrice mondiale di batterie di auto elettriche», ha ribadito il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Matteo Salvini.

 Un obiettivo irraggiungibile

Del resto la strategia di Bruxelles non è dissimile da quanto visto con la riqualificazione delle case. La direttiva dell’Unione prescrive il raggiungimento della classe energetica D entro il 2033, con il passaggio intermedio della classe E nel 2030. Uno scenario che mette praticamente fuori mercato tre abitazioni su quattro in Italia: il 75% degli immobili non avrebbero le qualità richieste.

La traduzione è che, in cinque anni, si dovrebbe provvedere a una riqualificazione totale del patrimonio immobiliare italiano. «Un obiettivo irraggiungibile», ha sintetizzato il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin. Qualcosa che diventa pura utopia, ma che pure al momento è sul tavolo dell’Europa. E senza interventi migliorativi fa piombare l’Italia in un incubo.