In questi giorni romani di fine inverno (se quello di quest’anno possiamo ancora così definirlo) anche io ho preso l’influenza.
Benvenuto nel gruppo, penseranno in molti. Ed in effetti questa non è una grande notizia se non per il fatto che, per l’ennesima volta, avendo dovuto ugualmente lavorare in studio nonostante febbre, raffreddore, tosse etc etc. mi sono rimesso nuovamente a riflettere sulla condizione di vita dei liberi professionisti, quelli seri, coloro i quali pensano per prima cosa al bene dei loro pazienti piuttosto che ai tornaconti personali, come la cronaca di queste settimane ci ha evidenziato. E ho pensato a chi è affetto da malattie più importanti di quella banale (ma neanche tanto…) da me avuta in questi giorni, o a chi fra noi ha bambini piccoli che si ammalano e gli impediscono di poter lavorare e a chissà quante e quali situazioni che comunque ostacolino il regolare svolgimento delle nostre attività.
Con questi pensieri in testa mi è per caso poi capitato di leggere, e quindi condividere, un appello pubblicato su Change.org, una piattaforma web di presentazione di petizioni che mirano a presentare problemi reali e a tentare di cambiare qualcosa in questo paese, rivolto al Presidente del Consiglio ed al Ministro del Lavoro da parte di una libera professionista con partiva IVA ammalatasi di tumore.
Il suo appello si intitolava “Diritti ed assistenza ai lavoratori autonomi che si ammalano”, e la mia curiosità era legittima proprio perché da tempo seguo con interesse la discussione sui diritti del lavoro autonomo, e poi per il fatto che proprio in questi stessi giorni il governo è impegnato nella discussione del testo di un decreto, collegato al Jobs Act, riguardante le tutele del lavoro e del lavoratore autonomo. Fra i punti in discussione ce ne sono diversi di nostro interesse:
- la deducibilità delle spese per la formazione continua fino a 10.000 Euro annuali,
- la tutela delle parcelle professionali tramite la stipula di una assicurazione che ne garantisca i pagamenti,
- il divieto di prevaricazione da parte del committente nei contratti per prestazioni professionali,
- la conferma del diritto all’accesso ai fondi strutturali europei da parte dei liberi professionisti.
Ok, va bene, ma tutto ciò deve essere solo l’avvio di un processo. E poiché, per la prima volta nella storia repubblicana, qualcuno considera le libere professioni non più come un ostacolo da abbattere (ricordate la legge Bersani e le sue lenzuolate??) ma come un settore di lavoro e di lavoratori dignitari di considerazione piena, ritengo che sia necessario che questa azione venga sostenuta con proposte e ragionamenti anche da parte di ANDI.
I temi da discutere sono tanti e personalmente ne ritengo alcuni prioritari:
- la revisione dei livelli di tassazione ai quali siamo sottoposti (Vi sembra giusto che noi possiamo arrivare addirittura a pagare fino al 47% dei nostri redditi mentre le società di capitale che operano nel nostro settore pagano livelli molto inferiori e senza obbligo di contribuzione Enpam!!);
- il sostegno al principio dell’equo compenso e quello delle garanzie perché il professionista sia regolarmente pagato dai suoi “clienti”;
- regolamenti e norme, relativi al nostro settore, che siano chiari e semplificati;
- una formazione continua davvero utile ed efficace;
- la capacità di dare risposte tramite interventi di politiche attive sul lavoro alle esigenze di occupazione, specie dei professionisti più giovani, nonché di assicurare sicurezza nei momenti di fragilità, adeguandola al livello di bisogno della persona.
Questi temi sono certamente complessi, forse inizialmente poco appassionanti rispetto ad altri di più facile effetto, e richiedono proposte articolate: non possiamo procedere per slogan, non ci sono soluzioni semplici di cui è facile appassionarsi.
Proprio per questo è compito di un’associazione lungimirante, sindacalmente matura e preparata quale ANDI studiare per tempo le riforme in atto, proporne di nuove, partecipare alla loro discussione, dirigerle. Siamo un sindacato di categoria e il nostro assoluto dovere è quello di sostenere tutte le questioni che riguardano ogni singolo dentista: hanno rilievo primario per il futuro dei nostri studi e dei nostri redditi. E saremo più forti nell’affrontarle se parallelamente avanzeremo proposte di soluzione al problema della sostenibilità dell’accesso alle cure odontoiatriche per la popolazione, come ANDI sta già facendo con altre fondamentali iniziative.
La forza, la rappresentanza numerica e l’esperienza di 70 anni di attività del settore da parte di ANDI sono garanzia di conoscenza, progettualità e capacità di fare. Ma potrebbe non bastare a garantirci la partecipazione ai tavoli del dibattito, vista la complessità delle riforme in discussione e la numerosità dei settori che vengono toccati.
Occorrerà pertanto procedere, uniti sugli stessi argomenti, con un fronte unico interprofessionale compatto, oggi ben individuabile nella partecipazione di ANDI nel sistema Confprofessioni: solamente in questo modo i decisori politici, la pubblica amministrazione e l’industria prenderanno finalmente atto del valore oltreché della consistenza delle professioni in seno alla società, solo così potremo avviare il cammino necessario per superare pregiudizi, ideologie ed interessi che hanno per troppo tempo diviso e contrapposto da una parte i sistemi pubblici e industriali, dall’altra il mondo delle libere professioni e dei lavoratori autonomi.
In questi ambiti l’ANDI del futuro non solo dovrà essere presente, ma dovrà essere protagonista: sappiamo farlo, lo faremo.