Il 17 aprile scorso l’Aula della Camera ha approvato il testo unificato delle proposte di legge sulle professioni non organizzate in ordini o collegi, apportando delle modifiche rispetto al testo approvato dalla Commissione. Oltre alla qualificazione delle professioni non regolamentate, la finalità della proposta è quella di dare garanzia e tutela agli utenti, sia attraverso l’attivazione di appositi sportelli collocati presso le specifiche organizzazioni professionali, sia promuovendo l’autoregolamentazione volontaria basata sul rispetto delle norme UNI. Il provvedimento riconosce la possibilità di istituire associazioni di diritto privato, volte alla formazione ed alla diffusione della professione stessa, verosimilmente attraverso albi o altre forme di riconoscimento pubblico.
In attesa di valutare compiutamente il testo licenziato da Montecitorio, si possono comunque trarre alcune considerazioni, tenuto conto dell’impatto che il provvedimento potrà avere sul mercato dei servizi professionali. In più occasioni, Confprofessioni ha segnalato l’opportunità di procedere a un riordino organico delle professioni attraverso una governance unitaria che potesse affermare l’area vasta delle attività intellettuali, intese come corpo sociale e produttivo del Paese. In un contesto comunitario, ma anche nazionale, che tende all’aggregazione delle forze economiche omogenee, il via libera della Camera al provvedimento sulle non regolamentate va nella direzione opposta e sancisce la definitiva frattura tra le attività intellettuali ordinistiche e non. Un risultato che conduce a un’ulteriore polverizzazione del settore professionale nel suo insieme. E senza, peraltro, risolvere l’annosa questione del confine con le attività tipiche delle professioni ordinistiche, riservate e non riservate. Da questo punto di vista, la norma non esige alcuna protezione per le attività qualificanti e vieta la costituzioni di associazioni solo se riferite ad attività riservate. Si può presumere, dunque, una sorta di deregolamentazione delle peculiarità delle professioni regolamentate per tutto il vasto campo delle attività tipiche ma non riservate, con seri rischi anzitutto per l’utenza.
Un altro aspetto controverso riguarda la disciplina delle associazioni che, sebbene appaia stringente in materia di deontologia, sanzioni disciplinari, lascia al singolo professionista la decisione di aderire o meno a tali associazioni. In questo caso la norma prende alla lettera il dettato comunitario e legittimamente non dispone un obbligo associativo per l’esercizio dell’attività. Tuttavia, resta da chiarire come potrà espletarsi il riconoscimento pubblico della nuova professione da parte delle associazioni, senza che il singolo professionista, che pure di questo riconoscimento potrà fregiarsi, sia vincolato ad un ordinamento stringente in termini di disciplina e deontologia.
Infine, viene prevista la produzione di norme tecniche UNI da parte di organismi accreditati, che identifichino i caratteri e i profili tipici della nuova professione. Le associazioni possono partecipare al processo pubblico di formalizzazione della figura professionale. Qui i rischi possono diventare anche maggiori. La norma tradisce la sensazione che si stia procedendo a riconoscere mestieri e non professioni intellettuali. Inoltre, una volta prodotta la norma tecnica, la certificazione non sarà monopolizzata dall’associazione a favore dei propri iscritti (ipotesi che pure è prevista), ma sarà a disposizione anche dei professionisti non iscritti all’associazione. In questo modo, il singolo potrà fregiarsi della certificazione UNI senza essere in alcun modo sottoposto a quel minimo di deontologia e controllo che l’associazione dovrebbe garantire, con conseguente svilimento dell’affidamento pubblico e perdita di senso della stessa associazione di riferimento, cui nessuno avrà vantaggio ad iscriversi.