Medici di famiglia: quale futuro per l’assistenza territoriale?

Il passaggio dei medici di famiglia a dipendenti del SSN rischia di compromettere l’assistenza territoriale. Confprofessioni al fianco di FIMMG

Ha suscitato preoccupazione e sconcerto tra i medici di medicina generale la proposta ventilata dal ministro della salute, Orazio Schillaci, di prevedere il passaggio dei medici di famiglia e dei pediatri, oggi liberi professionisti convenzionati, a dipendenti del Servizio sanitario nazionale per lavorare sul territorio nella Case di comunità.

A dare voce alle preoccupazioni dei medici di medicina generale sono il presidente di Confprofessioni, Marco Natali, e il segretario nazionale della Fimmg, Silvestro Scotti, in due interviste rilasciate al quotidiano Il Giornale lo scorso 9 febbraio.

Link intervista Natali.

Link intervista Scotti.

Al tema è stato inoltre dedicato un talk condotto dal direttore approfondimenti Rai, Paolo Corsini, che ha visto la partecipazione del presidente Natali; di Noemi Lopes, vicesegretario nazionale della Fimmg; di Carmen Colangelo, revisore di Confprofessioni; e di Alessandro Dabbene, vicesegretario nazionale della Fimmg.

«L’attuale assetto, con circa 60mila studi diffusi capillarmente, anche nelle aree più remote del Paese, rappresenta un modello fondamentale per garantire cure tempestive e accessibili. La proposta di concentrare i medici in 1.350 Case della Comunità, situate prevalentemente nei centri più grandi, rischierebbe – spiega Natali – di desertificare il ‘territorio sanitario’, penalizzando milioni di cittadini, in particolare anziani e persone con difficoltà di mobilità». Inoltre, secondo il presidente di Confprofessioni, una continuità assistenziale affidata a medici sconosciuti, coordinati da call center, comporterebbe l’abolizione del modello fiduciario tra medico e assistito.

Non solo. La chiusura degli studi privati avrebbe gravi ricadute sul piano economico, occupazionale e sociale. «Questo settore genera infatti un volume d’affari di circa 7 miliardi di euro, che arriva a 16 miliardi considerando l’indotto e le ore di lavoro. La chiusura degli studi privati comporterebbe non solo la perdita di questo valore economico, ma anche il licenziamento di almeno 30mila collaboratori amministrativi e di 10mila infermieri». Una deriva che, secondo Natali, provocherebbe la fuga dei professionisti dal settore, con pensionamenti anticipati e un drastico calo dell’attrattività della professione per le nuove generazioni, determinando «un vero e proprio collasso dell’assistenza sanitaria territoriale».

Leggi la news del 31 gennaio 2025 “Confprofessioni: no alla dipendenza per i medici di famiglia, sì alla tutela della medicina territoriale.