Le libere professioni rialzano la testa, ma devono ancora fare i conti con le debolezze strutturali di un mercato del lavoro in continua evoluzione. Dopo gli anni della pandemia, che ha inghiottito circa 75 mila liberi professionisti, nel 2023 si registra un balzo di circa 10 mila unità, che nel complesso porta il numero di liberi professionisti a quota un milione e 360 mila unità, pari al 5,8% della forza lavoro e al 27% del lavoro indipendente in Italia. A trainare il rialzo occupazionale sono i datori di lavoro-professionisti – i più colpiti durante il periodo pandemico – che raggiungono quota 204 mila, grazie al recupero di circa 20 mila unità realizzato nel biennio 2022-2023. Notevole l’incremento della quota femminile, soprattutto nelle regioni meridionali, che nello scorso anno conta circa 133 mila donne in più rispetto al 2010, mentre il numero di uomini è salito di circa 40 mila unità nello stesso periodo. Un dato che evidenzia un chiaro processo di ribilanciamento di genere all’interno della libera professione. La dinamicità del mercato del lavoro si riflette anche sull’occupazione negli studi professionali. Nel 2023 sono stati creati oltre 62 mila nuovi posti di lavoro, grazie all’aumento dei contratti a tempo indeterminato, che nel 2023 segnano un saldo occupazionale pari a 51.568. La buona intonazione del settore viene confermata inoltre dalla progressione dei redditi tra tutti i gruppi professionali. Nell’ultimo triennio la maggior crescita dei profitti si registra tra geometri (+62%), medici e odontoiatri (+53,6%, ingegneri (+53%) e architetti (+52,7%).
Sulle positive dinamiche occupazionali pesano, tuttavia, diverse criticità che frenano lo slancio del settore professionale, a cominciare dalla continua flessione dei giovani (-13,8%), dovuto in larga misura all’inverno demografico e alla crescente concorrenza del lavoro dipendente, cui si aggiunge il progressivo invecchiamento della popolazione: l’età media dei liberi professionisti passa dei 45,5 anni del 2013 ai 48,2 anni del 2023. Non a caso sono proprio gli over 55 a registrare l’aumento più sostenuto (+6,1%) tra il 2019 e il 2023. In un contesto caratterizzato da un netto recupero del mercato del lavoro in Italia, con un tasso di occupazione record che alla fine del 2023 su attesta al 61,5%, il lavoro professionale e, più in generale quello indipendente, si scontra con l’occupazione dipendente, che a fine 2023 aveva superato i livelli pre-Covid di circa 700 mila di unità. Le imprese hanno accresciuto il loro appeal, non solo nei confronti dei giovani che si affacciano sul mercato del lavoro ma anche verso una parte di lavoratori indipendenti, che scelgono di passare dalla libera professione al lavoro subordinato. Negli ultimi quattro anni, dunque, il bilancio del mercato del lavoro indipendente, seppur in crescita rispetto al 2022, è ancora negativo e non arriva a colmare il divario causato dalla pandemia: negli ultimi quattro anni si sono persi circa 223 mila posti di lavoro tra gli indipendenti e i liberi professionisti diminuiscono di 67 mila unità, con una variazione negativa del 5%. Più pesante il bilancio per le partite Iva che segnano un calo di 256 mila posti di lavoro.
Le tendenze occupazionali delle professioni in Italia trovano puntuale riscontro a livello europeo. L’impetuoso balzo in avanti dei liberi professionisti nell’eurozona, si colloca in un contesto caratterizzato da un forte incremento occupazionale generale (il numero degli occupati sale a quasi 16 milioni di unità) e da una netta contrazione della disoccupazione (-5,7 milioni), che ha permesso alle libere professioni di espandersi nel mercato del lavoro europeo. Tra il 2019 e il 2023 sono aumentate del 7,3%, un trend che trova conferma anche nell’ultimo anno con un incremento del 3,8%, sottolineando la crescente incidenza del contributo delle libere professioni alle economie europee. Al 2023 si contano quasi 6 milioni di liberi professionisti in Europa, dove tre lavoratori su 100 svolgono un lavoro intellettuale. Ancora una volta l’Italia si colloca al vertice della classifica per densità di professionisti, davanti a Germania, Francia e Spagna; ma se fino a qualche anno fa il nostro Paese rappresentava una sorta di “anomalia”, il costante sviluppo trasversale del comparto professionale in Europa rappresenta un pilastro fondamentale di sistemi economico sociali sempre più basati sull’economia della conoscenza, come evidenzia anche la relazione positiva tra Pil pro capite e densità di liberi professionisti nei diversi Paesi Ue.
È questa la fotografia più aggiornata del settore professionale che emerge dal IX Rapporto sulle libere professioni in Italia – Anno 2024, curato dall’Osservatorio delle libere professioni di Confprofessioni (www.osservatoriolibereprofessioni.eu), presentato oggi a Roma nella sala plenaria Marco Biagi del Cnel alla presenza del presidente del Cnel, Renato Brunetta, e del presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella. A confrontarsi sui dati del Rapporto, presentati da Paolo Feltrin, coordinatore dell’Osservatorio sulle libere professioni, sono intervenuti il presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli, e il presidente dell’Inapp, Natale Forlani. La seconda sessione dell’evento ha visto al centro dei lavori “Il ruolo dei liberi professionisti nella sfida dell’AI”, con la partecipazione di Francesco Benvenuto, direttore relazioni istituzionali di Cisco Italia; di Francesca Bitondo, direttrice rapporti istituzionali di Microsoft Italia; di Don Andrea Ciucci, segretario coordinatore della Fondazione RenAIssance; di Flavio Ponte, professor di diritto dl lavoro all’Università di Calabria e di Alessandra Santacroce, presidente Fondazione Ibm Italia. Al termine dell’evento il presidente Stella ha firmato il documento “Rome call for AI Ethics”, che impegna Confprofessioni a promuovere e sostenere un approccio etico all’intelligenza artificiale nel mondo delle libere professioni, secondo i principi etici della Rome Call promossi dalla Pontificia Accademia per la Vita e dalla Fondazione RenAIssance.
«Stiamo assistendo a un evidente riposizionamento delle professioni nel mercato del lavoro e nell’economia del Paese. I segnali di ripresa registrati nell’ultimo anno sono certamente positivi, ma non sono sufficienti a colmare i ritardi accumulati durante la pandemia. Il Rapporto sulle libere professioni 2024, giunto quest’anno alla sua nona edizione, ci mette di fronte a una realtà in continuo divenire, dove i progressi economici e sociali si scontrano frontalmente con le debolezze strutturali del nostro Paese e anche del nostro settore; un settore che cresce ma senza la spinta propulsiva delle giovani leve. Una fotografia mossa che delinea i contorni della “grande trasformazione” della società, dell’economia e delle libere professioni, senza però riuscire a mettere a fuoco l’orizzonte delle grandi sfide che abbiamo davanti. L’inafferrabile velocità della tecnologia digitale, le sempre più mutevoli tendenze del mercato del lavoro e l’instabilità di uno scenario geopolitico sull’orlo del precipizio sono le principali concause che alimentano incertezze e mettono in secondo piano i notevoli progressi realizzati dalle professioni sulla strada della crescita».
I professionisti nel mercato del lavoro
Negli ultimi quattro anni, il mercato del lavoro professionale presenta un andamento altalenante. La ripresa occupazionale registrata nel 2023 interviene dopo la brusca battuta d’arresto del 2020, seguita da un rimbalzo nel 2021 e da una nuova flessione nel 2022. Nel complesso, il contributo della libera professione sull’occupazione totale è andato riducendosi: se nel 2019 gli occupati in regime di libera professione valevano il 6,2% dell’occupazione totale, al 2023 il loro peso scende al 5,8%. Guardando anche alle dinamiche interne al lavoro indipendente l’incidenza della libera professione rimane sostanzialmente stabile negli ultimi anni. Il settore in cui si concentrano maggiormente i liberi professionisti sono le “Professioni scientifiche e tecniche”, con circa 680 mila occupati pari al 54% del totale, e le professioni dell’area “Sanità e istruzione”, con circa 222 mila professionisti (sanità) e 25 mila (istruzione), che rappresentano il 18% dl totale degli occupati. Entrando nel dettaglio, come già anticipato, sono i professionisti con dipendenti a sostenere la crescita del settore, soprattutto nelle regioni del Centro (+4,5% tra il 2022 e il 2023) e del Mezzogiorno (+3%). In controtendenza si muove invece il Nord Est (-5,5%), mentre nel Nord Ovest – che vanta il maggior numero di professionisti in Italia – non si registrano apprezzabili variazioni.
Sale l’occupazione negli studi
Se i datori di lavoro-professionisti recuperano terreno (con un incremento di 8 mila unità nel 2023), parallelamente aumenta la domanda di lavoro all’interno degli studi professionali. Rispetto ai saldi occupazionali del 2019, lo scorso anno il numero di dipendenti ha superato quota 62 mila, sospinto dai contratti a tempo indeterminato (anche grazie alla sostanziale stabilizzazione dei contratti a termine), che passano dai 318 mila del 2014 ai 537 mila dell’ultimo anno, e dal balzo dell’apprendistato che è praticamente raddoppiato, salendo dalle 18 mila assunzioni del 2014 alle 34 mila del 2024. Saldi occupazionali positivi che investono tutte le regioni. A tirare la volata è la Lombardia (con 16 mila nuovi posti di lavoro) e il Lazio, che conta oltre 14 mila unità. Nel Mezzogiorno spicca la performance della Campania, che riporta un bilancio assunzioni-cessazioni positivo per circa 5 mila unità.
Il fattore dimensionale
L’Italia si conferma la patria delle piccole e medie imprese, ma nel corso degli ultimi anni si assiste a una sostanziale ricomposizione delle dimensioni aziendali, che coinvolge anche le attività professionali. Nel decennio 2012-2022 il numero totale di imprese è diminuito del 2,8%, un calo che ha riguardato soprattutto le aziende che occupavano tra uno e tre dipendenti. Parallelamente si è registrato un aumento occupazionale del 17,2% assorbito in larga misura dalle imprese con oltre 100 dipendenti. Lo stesso fenomeno si osserva anche nel settore professionale, dove la crescita dimensionale degli studi professionali sta modificando la struttura occupazionale del comparto. Nel decennio 2012-2022 gli studi con dipendenti crescono del 6,5% e l’occupazione dipendente aumenta di oltre il 40%. Restringendo il campo al 2022 oltre la metà dei dipendenti (56%) opera in una realtà con almeno 10 dipendenti, rispetto al 44% nel 2012. A spingere la crescita dimensionale degli studi sono, in particolare, le professioni della sanità e assistenza sociale, dove il numero di imprese con dipendenti è aumentato di oltre il 13% nel decennio 2012 – 2022: un balzo ancor più sostenuto che nelle professioni tecniche e scientifiche.
Professioni sempre più rosa
La libera professione si tinge sempre più di rosa. Come emerge dal IX Rapporto sulle libere professioni i tassi di crescita occupazionale sono molto più sostenuti tra le donne che tra gli uomini. La quota rosa passa infatti dal 29,2% del 2010 al 35,3% del 2023; negli ultimi anni la componente femminile è cresciuta ovunque, soprattutto nel Meridione, contribuendo a mitigare il tradizionale divario di genere tra Nord e Sud Italia. Tuttavia è nelle regioni dl Centro che si registrano le migliori performance: qui le donne rappresentano il 37,7% della popolazione professionale. Tra Nord Ovest e Nord Est, invece, si nota una sostanziale stabilità, con una quota rispettivamente del 36,1% e del 35,4%. La presenza femminile svetta nel settore della sanità, dove il numero di libere professioniste si assesta sul 51,9%. Anche nell’area legale si registra una quasi parità di genere: le donne rappresentano infatti il 43,1% del totale. Viceversa, nelle professioni dell’area tecnica e nel macrosettore commercio, finanza e immobiliare – costituito da professioni di tipo non ordinistico – la presenza femminile è decisamente esigua e oscilla tra il 22 e il 24%.
I redditi invertono la rotta
Dopo la crisi pandemica tornano a rialzarsi i redditi di liberi professionisti. Nell’ultimo triennio si assiste infatti a un progresso dei profitti in quasi tutte le categorie professionali, seppur con intensità diverse. Analizzando i dati delle Casse private, il IX Rapporto di Confprofessioni evidenzia come ai vertici delle professioni più redditizie si collochino gli attuari (96.566 euro), i medici e odontoiatri (81.400 euro) e i commercialisti (80.318 euro). In cima alla classifica svettano i notai che, in base ai dati Isa (Indice sintetico di affidabilità), presentano un reddito medio di 335.630 euro. Al polo opposto nella classifica dei redditi delle professioni ordinistiche si collocano giornalisti, agrotecnici e psicologi con un reddito inferiore ai 20 mila euro. La crescita diffusa dei redditi, tuttavia, non si accompagna sempre ad un incremento del numero di iscritti alle Casse. L’aumento del volume di adesione riguarda soprattutto le professioni di area socio-sanitaria (psicologi +20,2%; infermieri +16,9%; medici e odontoiatri + 13,8%) ma anche gli agrotecnici (+14,4%) e i biologi (+12,1%). Di contro, le Casse che nel triennio 2020-2023 sperimentano la maggiore contrazione di iscritti sono quelle dei ragionieri e periti commerciali (-18,8%) e dei giornalisti con contratto di collaborazione, che registrano una variazione negativa del 17,1%, aggravata anche da un calo dei giornalisti free lance (-1,3%). La Cassa previdenziale degli avvocati – la più grande per volume di iscritti – conosce anch’essa un calo nel triennio, pari al 3,3% (circa 8 mila adesioni in meno rispetto al 2020).
La questione giovanile
Nelle dinamiche occupazionali del settore mancano all’appello i giovani professionisti. Il declino demografico, lo scarso appeal delle professioni tra i neolaureati e la concorrenza del lavoro dipendente hanno determinato un continuo assottigliamento della componente giovanile all’interno degli studi professionali. Tra il 2019 e il 2023 si registra un crollo di oltre il 13% delle classi d’età 15-34 anni, che si estende fino alla fascia 35-54 anni che nello stesso periodo cala dell’8%: una flessione che, in quest’ultimo caso, va a vantaggio del lavoro subordinato. La diminuzione della popolazione giovanile all’interno delle professioni si allaccia a doppio filo alle criticità del sistema d’istruzione terziaria. Nonostante la sostenuta crescita dei laureati intervenuta negli ultimi vent’anni, l’Italia permane uno dei Paesi europei con il tasso più basso di laureati (30,6% al 2023), anche a causa di un’offerta formativa terziaria fortemente sbilanciata su percorsi accademici di lunga durata e alla quasi totale assenza di percorsi universitari brevi.
Il divario territoriale
Gli squilibri tra Nord e Sud sono un’altra spina nel fianco dell’economia italiana, che incide profondamente sul sistema professionale e per analizzare il fenomeno il IX Rapporto di Confprofessioni parte dal Pil pro capite. La ricchezza per abitante al Sud si attesta intorno ai 19 mila 500 euro, oltre 10 mila euro in meno della media nazionale e 15-17 mila euro al di sotto di Nord Est (che vanta un reddito medio unitario pari a quasi 36 mila euro) e Nord Ovest, che con oltre 37 mila euro di Pil pro capite è l’area più ricca (dati 2022). Anche sotto il profilo occupazionale i divari territoriali permangono elevatissimi: al 2023 si registra una differenza di quasi 23 punti percentuali fra il tasso di occupazione del Sud e delle Isole, che si collocano attorno al 48% di occupati, e quello del Nord Est, l’area più performante, con una quota di popolazione occupata pari al 70,5%. Tra il secondo trimestre 2019 e il secondo trimestre 2024, tuttavia, il Mezzogiorno realizza un incremento occupazionale di quattro punti percentuali, un calo del tasso di disoccupazione di quasi 5 punti percentuali e una diminuzione del tasso di inattività superiore a quella delle altre regioni. Il trend positivo è un segnale molto importante, poiché interviene a ridurre di qualche punto i divari con il Centro-Nord. Al 2023 nel Sud e nelle Isole il tasso di occupazione femminile oscilla fra il 35 e il 37%, facendo segnare un gap di 25,7 punti percentuali rispetto a quella maschile. Nel Centro e ancor di più nel Nord la percentuale di donne occupate risulta nettamente superiore – con valori che spaziano dal 58,3% del Centro al 63,7% del Nord Est – e il divario di genere risulta più contenuto, attorno ai 13,5 (Nord Est) e 15,2 (Centro) punti percentuali.