Vizi e virtù della Bonus economy

Ristori, incentivi e prebende sono costati finora 250 miliardi di euro. Un fiume di denaro pubblico che genera frodi e dubbi sulla reale portata della ripresa economica. Ma una exit strategy è possibile

di Daniele Virgillito

(da il Libero Professionista Reloaded #2 – marzo 2022)

 

La pandemia economica ha portato con sé una pioggia disorganica di bonus, tanto da far parlare di “bonus economy”: dal kit digitalizzazione all’incentivo idrico, dal contributo per le cargo bike a quello per gli occhiali fino a un inedito tax credit cuochi, passando per il bonus monopattino, psicologo, rubinetti, vacanze, terme, bebè, pagamenti elettronici, TV, abbattimento barriere architettoniche, superbonus, eco bonus, sisma bonus, mobili ed elettrodomestici, verde, facciate, zanzariere e molti altri, che il Censis ha definito come “una continua gemmazione di nuovi strumenti di supporto, sostegno, ristoro e credito”.

“Bonuslandia” ne ha fatta di strada, tanto che nel corso degli ultimi due anni si sono susseguite manovre di bilancio che hanno finito per assomigliare a meri contenitori di agevolazioni, incentivi e crediti d’imposta e che hanno avuto, nella maggior parte dei casi, l’unico effetto di accrescere la lista delle tax expenditures (che in più occasioni si è solo annunciato di voler razionalizzare) a discapito di interventi mirati e strutturali. Non potendo coniare moneta, in una economia stravolta dalla pandemia, gli esecutivi che si sono succeduti hanno optato per una valuta parallela fatta di bonus e tax credit.

 

Trenta ritocchi al Superbonus

La possibilità di cedere i bonus ed utilizzarli per i pagamenti fiscali e previdenziali, ad onor di cronaca, esisteva già dal 2016, ma l’introduzione del superbonus e la possibilità di cederlo (come tutti i bonus edilizi) illimitatamente se, da una parte, ha indubbiamente contribuito a rilanciare il settore edilizio e immobiliare, dall’altra ha posto le basi per truffe, in gran parte prevedibili, che hanno conquistato le prime pagine dei giornali che dal 2020 consideravano il superbonus come l’unico booster per l’economia italiana.

Dalla fine di gennaio si è poi corsi ai ripari con un’ulteriore modifica dell’impianto normativo (se ne registrano oltre trenta dall’introduzione del 110%) tant’è che i beneficiari della detrazione possono continuare a cedere il credito ad altri soggetti, ma oggi con delle limitazioni.

 

Venti miliardi per l’1% del patrimonio immobiliare

Eppure ancora una volta la narrazione proposta è ambigua considerando che, secondo una recente audizione parlamentare del direttore dell’Agenzia delle Entrate, le frodi che riguardano il superbonus contano solo per il 3% del totale. Poca attenzione è stata posta sul fatto che il superbonus, con il suo “110%” elimina, tutt’al più, l’incentivo alla contrattazione sul prezzo dei lavori tanto che il comparto, come noto, sta registrando un’inflazione galoppante e un ingiustificato aumento dei prezzi. Considerando che le casse dello Stato hanno finora sborsato oltre 20 miliardi di euro per sostenere lavori che hanno interessato solo l’1% del patrimonio immobiliare è giunto forse il momento di chiedersi se non possa apparire più logico (utile) lasciare, indirettamente, nelle tasche dei cittadini questo fiume di denaro pubblico attraverso un abbattimento (tangibile) delle aliquote fiscali.

In un contesto di forte incertezza post-pandemia e ormai “pre-bellico”, il quadro macroeconomico si presenta come un coacervo di misure indirizzate a colmare diverse finalità (talvolta condivisibili), ma solo emergenziali che senza un sottostante disegno strategico di concreta politica industriale si tramutano, purtroppo, solo in uno sperpero di risorse.

 

Duecentocinquanta miliardi di prebende

Il nostro sistema economico ha bisogno, oggi più che mai, di interventi e riforme strutturali e non di un diluvio di prebende caotico che, tra ristori e bonus è costato alle casse dello Stato ben oltre 250 miliardi di euro e di cui nessuno è in grado di stimare quanto generi in termini propulsivi per la crescita dell’economia reale; un fiume di denaro pubblico, sfociato contro una scogliera di frodi a discapito, ancora una volta, dei professionisti e dei contribuenti onesti.

Ancor prima che i riflettori si accendessero sul conflitto ucraino, si era fatta piuttosto chiara la necessità di uscire dalla “bonus economy”, forse utile nel brevissimo periodo, ma di certo dannosa e incapace di dare impulso allo sviluppo del Paese. In tempo di “Ripresa e Resilienza” la visione strategica di medio e lungo periodo è l’unica “arma” che andrebbe, invece, sfoderata per la sopravvivenza della nostra (non solo) economia.