Il medico nel jukebox

I continui tagli alla spesa sanitaria pubblica, il calo del 6,2% del numero dei medici e il forte incremento di prestazioni da erogare in tutte le aree di specializzazione hanno fatto fiorire il mercato dei medici a gettone. A discapito della qualità delle cure erogate ai cittadini. Soluzioni facili per governare il fenomeno non ci sono, ma qualcosa si può fare sia a livello regionale che a livello nazionale. Basta volerlo

di Giampaolo Stopazzolo – da il Libero Professionista Reloaded #16

 

Tra i primi ad accendere i riflettori sul tema dei medici a gettone nell’ambito del Servizio sanitario nazionale (Ssn) è stata la rubrica Data Room del Corriere della Sera, che lo scorso gennaio ha dedicato spazio a un’indagine ponendo particolare attenzione sulla situazione in alcune Regioni del Nord Italia caratterizzate da alti livelli assistenziali. Ne è emerso che nel corso del 2022, nelle quattro principali Regioni del Nord (Veneto, Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna) sono stati utilizzati medici gettonisti per un totale di 103.400 turni corrispondenti a 1.240.800 ore di lavoro/anno, che rapportate all’orario medio di un medico dipendente del Ssn (1660) corrispondono a 747 medici equivalenti.  La differenza non sta solo nelle ore di lavoro, ma anche nella retribuzione: un medico dipendente, infatti, dopo 15 anni di servizio percepisce circa 85 mila euro lordi/anno, cifra che un gettonista guadagna in 84 turni da 12 ore l’uno.  La differenza, quindi, è 1.660 ore/anno (orario medio di un dirigente medico nel Ssn), contro le 1.006 ore (84 turni da 12 ore) di un gettonista.

Meno ore a parità di stipendio, ma a rimetterci sono i pazienti. Stando all’indagine condotta da Data Room, infatti, il sistema dei medici a gettone, per come è organizzato, non garantirebbe alle persone una buona  qualità delle cure somministrate, visto che i  medici vengono spesso utilizzati in servizi senza averne le necessarie competenze; non si prevede il rispetto dei riposi indicati dalla normativa europea (in vigore per i dipendenti) dopo i turni di lavoro; c’è una mancanza di continuità delle cure per l’importante ricambio dei medici gettonisti nello stesso reparto; esistono difficoltà da parte dei direttori delle unità operative complesse (reparti) di gestire gli stessi gettonisti.

 

Un fenomeno diffuso  

Nonostante questo, il fenomeno dei medici a gettone è diffuso un po’ in tutta la penisola, anche se oggettivamente si concentra laddove l’assistenza del pubblico ha una migliore qualità e quantità, quindi maggiori necessità assistenziali. E le branche che si trovano in maggiore difficoltà sono: i pronto soccorsi; i reparti di ostetricia/ginecologia; le radiologie; le anestesie rianimazioni e le pediatrie.

Ad alimentare il fenomeno sono i bisogni di personale medico in ambito ospedaliero, i pensionamenti che si verificheranno nei prossimi quattro anni e gli specializzandi, che nel frattempo si potranno formare per sostituire i pensionamenti.

Dal Rapporto AGENAS (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali) Personale del SSN –Marzo 2023 si evince che nel 2021 il personale dipendente del Ssn ammontava a 670.566 unità di cui 68,7% donne e 31,3% uomini.  Di questi i medici in servizio, sempre nel 2021, erano 108.250.

A seguito del blocco del turn-over nelle Regioni in piano di rientro e delle misure di contenimento delle assunzioni adottate anche in altre Regioni (con il vincolo alla spesa), negli ultimi anni il personale a tempo indeterminato del Ssn è fortemente diminuito. Al 31 dicembre 2018 era inferiore a quello del 2012 per circa 25 mila lavoratori (circa 41.400 rispetto al 2008). A questo va aggiunto che il protrarsi del blocco delle assunzioni fino al 2018 nelle Regioni in piano di rientro, oltre al tasso di turnover negativo, hanno causato un innalzamento dell’età media dei professionisti con impatto sulle quiescenze. Infatti, i medici dipendenti del Ssn che andranno in pensione nel quinquennio 2022-2027 sono circa 29.331.

Le stime Agenas sul personale medico specialistico che si formerà al 2026, prevedono che il numero di nuovi specialisti nel Ssn (75% del totale) sarà pari a 39.244, circa 10 mila in più rispetto al numero di pensionati, e comunque in numero superiore anche tenendo in considerazione i dati delle dimissioni. Ma, secondo i dati Ocse citati da Agenas, negli ultimi tre anni disponibili – 2019, 2020 e 2021 – si trovavano all’estero ben 21.397 medici.

Aumenta la domanda, diminuiscono i medici

Nel 2021 i medici erano 108.250 contro 115.449 del 2011, quindi ben 7.199 in meno (6,2%) con una contrazione a fronte comunque di un forte incremento di prestazioni da erogare in tutte le branche.

È vero, il numero di specializzandi che si formerà entro il 2026 (39.244) potrà, teoricamente, sopperire ai pensionamenti in programma nello stesso periodo (29.331), ma vanno considerate alcune limitazioni. Per esempio, il giovane medico non ha il livello di competenze e conoscenze pratiche che ha il medico pensionando e, in più, molti di questi giovani professionisti preferiranno lavorare oltrefrontiera, le previsioni parlano di circa 7 mila persone.

La carenza nelle branche critiche (pronto soccorso, pediatria, ostetricia/ginecologia, anestesia e radiologia), sono comunque carenze relative in quanto si concentrano eminentemente negli ospedali periferici (spoke) e non in quelli Hub. Infatti per il giovane medico l’ospedale spoke, purtroppo, ha scarsa attrattività e, in tempi nei quali il medico ha grandi possibilità occupazionali, preferisce optare per le gradi strutture.

Questo significa che un’importante aumento della domanda di prestazioni sanitarie non riesce a essere soddisfatto per una distribuzione non omogena dei medici e non solo di numeri assoluti di unità necessarie.

Le cause

Il fenomeno dell’uso di ore mediche “aggiuntive” (rispetto al debito orario dovuto dal dipendente per contratto), nasce nei primi anni 2000 per il forte incremento delle prestazioni soprattutto nelle branche diagnostiche e con l’aumento dell’attività chirurgica.

In quegli anni il miglioramento degli strumenti diagnostici ha portato a un aumento della richiesta di indagini radiologiche e dell’attività chirurgica (soprattutto ortopedica), quindi anche a un maggior numero di ore anestesiologiche. Di qui i primi “pacchetti” di ore “comprate” ai medici dipendenti. Situazione che è proseguita per qualche anno, sempre in primis per anestesisti e radiologi. A metà anni 2000 ha iniziato a farsi sentire anche la sofferenza dei pronto soccorso e le aziende sanitarie hanno iniziato a offrire pacchetti di ore ai medici dipendenti del PS per integrare i turni e garantirne la piena copertura.

Il quinquennio 2000 – 2005 è quello della “terza “riforma sanitaria con il Decreto Bindi 229/99 che dopo la riforma 833/78 ha rilanciato l’aziendalizzazione della Sanità con la Legge 502/92. Poi è arrivata la stretta economica che ha portato a un serrato controllo della spesa sanitaria pubblica e conseguentemente del riparto regionale. Un passaggio in cui il ministero dell’Economia e delle Finanza ha iniziato a “prevalere” sul ministero della Sanità e il controllo della spesa si è basato su tetti ministeriali e non sugli effettivi bisogni di prestazioni delle aziende sanitarie. Sono stati gli anni del budgeting nella pratica della sanità, quelli che hanno visto l’imposizione dei tetti ai vari capitoli di spesa in Sanità imponendo, in caso di sforamento, un taglio nel riparto regionale.

Da qui, prima il tetto di spesa sul personale dipendente che, fino al 2019 circa, non doveva essere superiore alla spesa del personale del 2004, per poi decidere che non doveva essere superiore alla spesa per il personale del 2015.

Contemporaneamente abbiamo assistito da una parte all’aumento della richiesta di prestazioni specialistiche e dall’altra all’impossibilità di effettuare assunzioni oltre i tetti. Due fenomeni che hanno generato la necessità da parte di molte aziende sanitarie di “aggirare” i tetti attraverso l’acquisto di servizi per le branche più in sofferenza e di qui il “fiorire” di cooperative di medici che erogano i loro servizi con turni di 12 ore al miglior offerente, senza regole o calmierazioni generando il boom del fenomeno dei medici a gettone.

Le possibili soluzioni

Appare chiaro che per un’azienda sanitaria (se pur pubblica) con un bilancio di 128 miliardi di euro, con 664.686 dipendenti a tempo indeterminato, gestita in modalità articolata su 22 Regioni non sia facile trovare una soluzione. Al momento alcune Regioni (come il Veneto e la Lombardia) stanno cercando soluzioni parziali poi accettate a livello nazionale come l’aumento del valore orario dell’attività extra per i dipendenti passata da 60 a 100 € o la diretta contrattualizzazione di liberi professionisti (Emilia Romagna). Ma è necessario andare oltre utilizzando un’intelligente leva economica.

Alcuni interventi possono essere fatti direttamente dalle regioni anche nell’ambito delle azioni previste dal Pnrr, altri necessitano, invece, di interventi ministeriali con decreti e leggi. A livello regionale, per esempio, si potrebbe pensare a:

  • stipendi incentivanti per i medici dipendenti che accettano incarichi in ospedali periferici nelle branche critiche;
  • razionalizzazione dei presidi ospedalieri con trasformazione dei più piccoli in strutture territoriali di cure primarie;
  • potenziamento della sanità del territorio che punti a una riduzione dell’ospedalizzazione e a un aumento dell’appropriatezza nella richiesta di prestazioni

Mentre a livello nazionale/ministeriale si potrebbe prevedere:

  • stabilizzazione dei gettonisti come dipendenti, laddove effettivamente necessario, pena la loro esclusione dai servizi. Questo comunque ridurrebbe i costi del personale con una maggiore resa oraria;
  • eliminazione del blocco per l’attività medica nel pubblico ai medici in pensione di anzianità contributiva anticipata (42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne, a prescindere dall’età anagrafica), con età inferiore ai 67 anni. Già questo garantirebbe la possibilità di utilizzare come gettonisti una platea di medici ancora “giovani” (62-65 anni), esperti e con potenzialità lavorative integre.

 

La soluzione del problema non è semplice, ma alla fine è governata da un’equazione:

Numero ore per garantire le prestazioni ospedaliere (ricoveri, diagnostica e specialistica) richieste

Orario annuo retribuito per contratto per singolo medico

= n° di medici necessari

 

 

Le considerazioni contenute in questo articolo derivano non solo da un’analisi dei dati disponibili, ma dall’esperienza diretta dell’autore: ciò che ha visto accadere, e spesso anche deciso nel Servizio Sanitario Pubblico dal 1985 al 2022 come dirigente medico che ha sempre cercato di contemperare la migliore assistenza possibile per il cittadino con le risorse disponibili.