La grande sfida

Il digitale è una grande scommessa di crescita per gli studi professionali. Coglierla e gestirla significa dare ai propri servizi maggior valore aggiunto. Proprio quello che chiedono aziende e Pubblica amministrazione. E non ci sono scuse economiche che tengano. È solo una questione di mindset e predisposizione al cambiamento.

Di Claudio Rorato, da Il Libero Professionista Reloaded #11

Gli ultimi tre anni sono stati intensi per tutti. Studi professionali compresi. La pandemia prima, lo scoppio della guerra russo ucraina poi con la conseguente crisi energetica hanno lasciato il segno e ridisegnato le priorità di istituzioni politiche, finanziarie, sociali ed economi – che, spingendo tutti a ad adottare nuovi modelli organizzativi per far fronte alle nuove sfide di business.

In questo contesto non fanno eccezione gli studi professionali, in particolare quelli legali, commercialisti e della consulenza del lavoro, da un decennio oggetto di studio dell’Osservatorio Professionisti del Politecnico di Milano. Tra i professionisti la complessa situazione lascia uno strato di incertezza, come dimostrato dal fatto che quelli fiduciosi sul loro futuro oscillano tra il 29% degli avvocati e il 42% dei consulenti del lavoro.

Lo stato di fiducia o meno verso il futuro e la redditività si influenzano reciprocamente. Infatti, tra gli studi fiduciosi il 73% dichiara una redditività positiva nell’ultimo biennio, contro il 58% della media generale del campione e il 50% degli studi pessimisti.

La tecnologia crea valore

Ma una cosa accomuna tutti: l’aumento della consapevolezza che le tecnologie digitali non possono che creare valore per i clienti e per lo studio. Si sta gradualmente affermando una cultura gestionale più orientata al cliente. I grandi studi, soprattutto quelli di matrice legale, sono in corsia di sorpasso, non temono il cambiamento, si confrontano con soggetti diversi, investono su competenze più ampie, usano le tecnologie non solo per fare efficienza ma anche per proporre nuovi modelli di business e di relazione, pongono al centro del loro modello il cliente e investono sulla crescita del personale, sia nelle hard skill sia nelle soft skill.

Gli studi meno strutturati, invece, hanno un approccio ancora timido nei confronti del cambiamento, visto sempre più come minaccia che come opportunità di crescita. Investono nel digitale soprattutto per recuperare efficienza e ammodernare i servizi tradizionali. La collaborazione con altre realtà esiste ma non è così profonda da spingere a innovare il modello organizzativo e di business.

Le esigenze del mercato

Ai professionisti gli imprenditori chiedono più supporto per i loro processi decisionali, più incisività nella creazione di valore per l’azienda, soprattutto nella gestione caratteristica, che va a remunerare il capitale di rischio.

Oggi, al professionista imprenditori e manager pubblici e privati chiedono di comprendere maggiormente le dinamiche dell’ecosistema azienda per avere un supporto tempestivo nei momenti più delicati. Un ruolo, quindi, sempre più importante che, però, necessita un arricchimento rispetto ai modelli tradizionalmente proposti.

In questo senso il digitale rappresenta un’opportunità di crescita per tutti gli studi professionali. Basti pensare a tutta l’area dell’analisi dei dati in grado di trasformare il professionista in protagonista del mercato, in un soggetto in grado di generare nuova conoscenza e valore per il cliente.

Qualcosa si muove

E, in questa direzione, qualcosa sta cambiando. I progetti e gli obiettivi degli studi, infatti, ci danno un’idea di come stia procedendo il cambiamento al loro interno. I dati a nostra disposizione dimostrano che i progetti realizzati si concentrano prevalentemente nella ricerca dell’efficienza e della produttività (33%); anche a livello di intenzioni future è questa la voce che catalizza più l’attenzione (46%). Sicuramente ci sono ancora margini di miglioramento, visto che ancora molti studi non hanno terminato la dematerializzazione documentale e la digitalizzazione dei principali processi lavorativi.

Così possiamo dire che, a oggi, la capacità di guardare fuori dallo studio, migliorare le relazioni con i clienti, modificare la fruizione dei servizi e introdurre nuovi prodotti/ servizi, sono ancora appannaggio di pochi studi. Però la crescita di una cultura più customer oriented è testimoniata proprio dalle intenzioni di sviluppare progettualità in questa direzione (41% per le modalità di relazione e di fruizione).

Mediamente gli studi multidisciplinari esprimono percentuali superiori sia per progettualità realizzate sia per intenzioni a svilupparle, segno che la trasversalità delle competenze incoraggia modelli tendenzialmente più evoluti.

Ma la vera accelerazione proviene dai grandi studi, quelli con un organico complessivo che va dalle 30 persone in su ed è bene chiarire subito che la motivazione non va cercata solo nelle maggiori disponibilità finanziarie, ma soprattutto nella capacità di mettere in discussione senza timore i modelli pregressi, di elaborare una nuova visione organizzativa e di business, di sviluppare una cultura gestionale ispirata ad alcuni paradigmi più tipici del mondo aziendale che professionale.

Le strutture più smart hanno coinvolto fin da subito il personale – professionisti, collaboratori e staff – in percorsi formativi di crescita dedicati all’uso di strumenti tecnologici, ma anche di sviluppo personale e comportamentale, coinvolgendoli nei processi di miglioramento bottom-up, rendendo, così, le persone protagoniste del cambiamento.

I grandi studi sono anche quelli più disposti a contaminare le conoscenze, consapevoli che oggi l’eterogeneità dei saperi, delle conoscenze, è fondamentale per affrontare tematiche sempre più trasversali. Senza la capacità di adattarsi alle nuove tendenze di mercato, alle nuove necessità delle organizzazioni clienti, le strutture più piccole sono destinate a occupare un posto sempre più di secondo piano sul mercato per mancanza di tempo e risorse.

Collaborare, un obbligo

Ma è importante essere consapevoli che se da sole le piccole realtà professionali non riescono a crescere lo possono fare in collaborazione con altre realtà – professionali o organizzazioni –. Tra gli sudi che collaborano stabilmente con altre organizzazioni la percentuale di quelli che stanno lavorando per introdurre nuove competenze/conoscenze rispetto alla media del campione raddoppia (28% vs 14%).

La collaborazione è una leva importante per evitare la fatale rassegnazione che può attanagliare le realtà più piccole. Anche in questo caso l’innesco proviene dalla capacità di elaborare una nuova visione, senza fossilizzarsi su paradigmi ritenuti inamovibili.

Nuove skill, più valore

Strettamente collegato al tema della gestione del cambiamento è il concetto di valore, sul quale gli studi più evoluti si stanno interrogando. Emerge con chiarezza che, tolta la categoria legale e quella dei grandi studi, trasversali con i loro servizi ai diversi processi lavorativi aziendali, le altre categorie concentrano le attività prevalentemente nell’area di supporto, meno vicina alla gestione caratteristica, deputata alla remunerazione del capitale di rischio.

La riflessione che deve nascere è legata al ri-orientamento del ruolo e del business. L’introduzione di nuovi servizi passa attraverso l’acquisizione di nuove competenze, non facilmente ottenibili, soprattutto nel breve periodo. L’alleanza o la rete rappresentano un valido alleato sul fronte della possibilità di ampliare la capacità di soddisfare nuovi bisogni. Imprenditori e manager hanno la necessità di supporti integrati tra loro, per recuperare efficienza nei servizi e consentire più facilmente il trasferimento della conoscenza all’interno delle loro organizzazioni. Conoscere il valore generato al cliente e misurarlo è la base per alcuni ragionamenti di natura strategica.

Oggi sono ancora pochi gli studi che misurano sistematicamente il valore, attraverso le opinioni dei clienti e le valutazioni oggettive con indicatori di prestazione. Chi lo fa, dimostra anche una maggiore propensione all’impiego delle tecnologie e, quindi, a elaborare modelli organizzativi e di business più evoluti. Costruire lo studio ponendo al centro il cliente e curare lo sviluppo delle proprie persone, garantisce non solo resilienza ma anche anti-fragilità, cioè capacità di cogliere nella discontinuità un’opportunità per lo sviluppo e la crescita.