Morire di lavoro

La strage ferroviaria di Brandizzo è solo l’ultimo tragico capitolo. Tra gennaio e luglio 2023 il bilancio delle morti sul lavoro ammonta a 559 vittime, con una media di 80 decessi al mese. Un fenomeno che punta il dito contro la scarsa attenzione verso la sicurezza, ma anche contro una legislazione con le armi spuntate. Le contromosse del Parlamento per potenziare la prevenzione

di Lorenzo Fantini – da Il Libero Professionista Reloaded #17

 

Il tema della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è sempre stato per l’Italia rilevante e allo stesso tempo critico, come emerge considerando i danni causati alle persone dagli infortuni sul lavoro. Infatti, il costo totale di tali eventi è, in Italia, di oltre 45 miliardi di euro, una cifra eclatante, pari al 3,21% del prodotto interno lordo (Pil)[1]; ciò colpisce a maggiore ragione tenendo conto che questo costo è calcolato al netto delle malattie professionali, degli infortuni in itinere[2], e perfino del lavoro irregolare che, se tenuti in considerazione, porterebbero l’onere complessivo molto più in alto. La valutazione dell’impatto economico della mancata sicurezza in azienda non fornisce dati minori o più incoraggianti in Europa e nel mondo; per quanto concerne l’Europa, la strategia europea per la salute e sicurezza sul lavoro in vigore, riferita al periodo tra il 2021 e il 2027[3], evidenzia come l’Unione europea abbia impegnato nell’anno 2019 ben 460 miliardi di euro per il sostegno dei lavoratori infortunati e delle famiglie delle vittime degli infortuni sul lavoro, somma pari al 3,3% del Pil dell’Europa unita, mentre i soli tumori causati dall’attività lavorativa sono costati 119,5 miliardi di euro. A livello internazionale, le stime dell’ILO, riferite all’anno 2018[4], evidenziano come in quell’anno vi siano stati 2,78 milioni di decessi per ragioni legate al lavoro, per un danno quantificabile nel 3% del Pil mondiale e con un numero di morti legate alla mancata prevenzione di ben 7.500 per singola giornata.

Un fenomeno che tocca gli studi

Il contesto appena descritto è ben poco conosciuto da professionisti e imprenditori, anche se i drammatici eventi infortunistici delle ultime settimane – spesso con più morti nella stessa occasione, a partire dalla strage ferroviaria di Brandizzo – hanno mostrato a tutta l’opinione pubblica cosa significhi per le persone e le loro famiglie non attuare in concreto le procedure di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali; procedure che una legislazione (in massima parte contenuta nel decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, anche noto come “testo unico” di salute e sicurezza sul lavoro) ampia e pienamente coerente con le Direttive comunitarie in materia impone in modo chiaro a tutte le imprese,

comprese quelle di tipo professionale. Se, infatti, i dati ufficiali dell’Inail relativi agli addetti alla segreteria e agli affari generali, riferiti all’anno 2020 (che indicano 11.122 infortuni sul lavoro, e 49 casi con esito mortale) evidenziano una minore, ma sempre significativa criticità rispetto a quelli propri di altri settori maggiormente “a rischio”, è anche vero che molti professionisti svolgono attività in contesti nei quali è presente una maggiore frequenza (e gravità) infortunistica, come nel settore dei cantieri o in quello sanitario, e altri si occupano di svolgere consulenza alle imprese anche in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

Le mosse del Governo

Dell’attualità della prevenzione degli eventi avversi al lavoro è ben consapevole lo stesso Governo, che è intervenuto sul d.lgs. n. 81/2008 con alcuni articoli del D.L. “Lavoro”, con previsioni poi confermate (con piccole modifiche) dalla legge n. 85 del 2023, consistenti in una serie di innovazioni a strumenti di prevenzione come, ad esempio, la sorveglianza sanitaria e la disciplina relativa all’uso di attrezzature di lavoro. Tali interventi non hanno, tuttavia, prodotto l’effetto voluto, tanto è vero che da un lato presso il Ministero del lavoro sono aperti diversi tavoli di lavoro (ai quali partecipano le parti sociali, compresa Confprofessioni) per individuare interventi di maggiore incisività in materia e dall’altro il Senato lo scorso 13 settembre ha approvato una mozione (Atto n. 1-00071), nelle quale vengono individuati 10 punti essenziali da perseguire per potenziare l’efficacia delle attività di prevenzione in tutte le imprese.

Nella premessa della mozione è dato leggere che: «i dati 2021-2022 sugli infortuni pubblicati dall’Inail ed elaborati dall’Osservatorio sicurezza sul lavoro e ambiente evidenziano che, da gennaio a luglio 2023, il bilancio delle morti sul lavoro ammonta a 559 vittime di cui 430 in occasione di lavoro e 129 in itinere, con una media di 80 decessi al mese” e, inoltre, che per contrastare questi drammatici eventi è necessario: “individuare un nuovo approccio strategico alla prevenzione degli infortuni sul lavoro che si traduca in azioni sul piano normativo, organizzativo, disciplinare e culturale e che tenga conto, tra l’altro, da un lato, del principio di differenziazione delle attività economiche, e, dall’altro, dell’evoluzione del mondo del lavoro”. Si tratta di affermazioni del tutto condivisibili, atteso che è ormai chiaro come la “semplice” applicazione (peraltro troppo spessa incompleta in concreto) delle vigenti disposizioni in materia non ha prodotto i risultati sperati, rendendo evidente che è necessario integrare la regolamentazione con efficaci strumenti di coinvolgimento – eventualmente anche premiali – di aziende e persone (tenendo conto della circostanza che spesso gli infortuni sono causati, in tutto o in parte, dai comportamenti imprudenti dei lavoratori). Tuttavia, la lettura dei 10 punti lascia più di una perplessità, visto che in essi si trova la ripetizione di punti “tradizionali” (come quelli in cui si propone l’ennesimo potenziamento delle strutture “pubbliche” di vigilanza) ma anche la formulazione di altri troppo generici, per quanto in astratto condivisibili (si pensi, per tutti, al punto 6 in cui, in una era di ormai avvenuta transizione anche nelle aziende a strumenti digitali di gestione dell’organizzazione del lavoro, ci si limita a prevedere di: “favorire l’avvio di un’attività conoscitiva sulla transizione digitale e sulle nuove tecnologie e il loro potenziale utilizzo ai fini di prevenzione generale e speciale degli infortuni sul lavoro”).

Appaiono, invece, interessanti due punti; il primo (il n. 5) in cui il Senato impegna il Governo a: “individuare, per quanto concerne le condizioni di fragilità che aumentanoil rischio infortunistico e la morbilità professionale, le best practice in materia di sicurezza del lavoro, con particolare riguardo ai principi di differenziazione ed adeguatezza rispetto alla dimensione aziendale e al tipo di attività produttiva”. È, infatti, di grande importanza tener conto delle condizioni delle persone al lavoro ma anche della diversità dei contesti produttivi, rispetto ai quali si potrà pensare ad un potenziamento delle tutele e dei controlli (potenziamento necessario per quei settori nei quali gli indici degli infortuni e delle malattie sono elevati) o, al contrario, a forme di semplificazione degli adempimenti di tipo formale, come predisposizione di documenti e notifiche, nei settori – come per gli studi professionali che abbiano solo rischi di ufficio – nei quali la complessità burocratica del sistema legislativo di prevenzione vigente non è di alcuna utilità.

Fondamentale sarebbe che il punto 10 della mozione venisse, con forza, perseguito. Infatti, il Senato sottolinea che occorre: “promuovere la cultura della sicurezza sul lavoro in riferimento ad ogni livello di istruzione e formazione, prevedendo altresì il coinvolgimento, con apposite attività formative, delle classi docenti e l’eventuale l’introduzione di un insegnamento ad hoc”. Si tratta di un obiettivo particolarmente significativo, come emerge dall’analisi delle dinamiche degli infortuni gravi e mortali, i quali ormai sono in massima parte dovuti o a carenze dell’organizzazione del lavoro in termini di prevenzione (si considerino il numero e la gravità degli infortuni nei lavori in appalto e subappalto, nei quali le misure di cooperazione e coordinamento tra committente, appaltatori e subappaltatori sono troppo spesso solo “sulla carta”) o a condotte dei lavoratori qualificabili come “pericolose” (si pensi all’uso del cellulare come elemento di grave distrazione, al mancato utilizzo di dispositivi di protezione individuale per fretta, eccesso di confidenza o qualunque altro motivo), che evidenziano una consapevolezza del rischio infortunistico drammaticamente bassa di organizzazioni e persone e sulla quale interventi di tipo formativo o, meglio e prima ancora, scolastico – destinati ai futuri imprenditori o lavoratori – appaiono una strada obbligata.

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[1] Dato desunto dall’ultima rilevazione ufficiale in merito effettuata da INAIL, relativa all’anno 2007.

 

[2] Vale e dire nel tragitto casa-lavoro o lavoro-casa, che costituiscono una parte assai significativa degli infortuni per i quali INAIL garantisce le proprie prestazioni.

 

[3] Disponibile, in italiano, al seguente indirizzo: https://osha.europa.eu/it/about-eu-osha/press-room/note-to-editor/eu-strategic-framework-health-and-safety-work-2021-2027.

 

[4] Disponibile, in inglese, al seguente indirizzo: https://www.ilo.org/global/topics/safety-and-health-at-work/events-training/events-meetings/world-day-for-safety/WCMS_686645/lang–it/index.htm.