Società progredita e dignità del lavoro intellettuale: quale ruolo per uno Statuto del lavoro autonomo?

La svolta che questa legge potrà contribuire a produrre sarà costituita dal riconoscimento dei lavoratori intellettuali quali soggetti produttori della ricchezza del Paese e quindi sarà la base per il rilancio del loro valore sociale di Bruno Gabbiani, presidente Ala Assoarchitetti   «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro». Questo assunto basilare della nostra
La svolta che questa legge potrà contribuire a produrre sarà costituita dal riconoscimento dei lavoratori intellettuali quali soggetti produttori della ricchezza del Paese e quindi sarà la base per il rilancio del loro valore sociale

di Bruno Gabbiani, presidente Ala Assoarchitetti

 

«L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro». Questo assunto basilare della nostra costituzione, che tanto ha appassionato i cuori del movimento operaio, nell’attuale fase di trasformazione e di crisi, merita qualche riflessione applicata anche al lavoro intellettuale. Non vogliamo ovviamente inerpicarci in ingenue esegesi del testo costituzionale o in altrettanto improbabili analisi dei fenomeni socio-economici del mondo globalizzato, ma soltanto esprimere alcune considerazioni, che derivano dall’esperienza e dalla conoscenza del mercato del lavoro intellettuale, in particolare d’architetto e d’ingegnere.

Sorge in proposito una domanda: qual è stato il processo che ha condotto attività strategiche per la qualità dell’ambiente e della vita ad essere svalutate e screditate in modo crescente, fino ad essere comunemente richieste – e offerte  – sottocosto o addirittura a prezzo zero? Non ci risulta che in altri Paesi progrediti si pretenda, ma nemmeno che si tolleri, che intere categorie di lavoratori, intellettuali o non intellettuali, prestino la loro opera senza un compenso dignitoso, né tanto meno gratuitamente. In realtà, a parte i fenomeni che riguardano un’intera economia fuori legge, come quella che in lande appartate sfrutta l’opera di immigrati più o meno clandestini, la sottovalutazione avviene alla luce del sole e con il plauso dell’opinione pubblica, soltanto per il lavoro intellettuale, mentre i contratti collettivi del lavoro dipendente fissano il minimo inderogabile del salario, le amministrazioni pubbliche, ancor prima dei privati, mettono in gara prestazioni intellettuali, d’architettura e d’ingegneria nel nostro caso, sotto costo e a volte addirittura senza compenso, giustificando in modo grottesco e spudorato questa prassi, come l’offerta ai professionisti della possibilità d’acquisire un curriculum per futuri incarichi. E subito qualche tribunale ha anche dichiarato giustificato e legittimo un modo di procedere così inqualificabile.

Allora, la domanda si amplia: è soltanto il lavoro manuale – per così dire ‘operaista’ e fordista – quello su cui la nostra Carta fondamentale fonda le Repubblica? Forse un tempo, le prestazioni professionali non erano addirittura considerate un lavoro vero e proprio, tanto che noi stessi ricordiamo tempi non lontani, nei quali non era elegante richiedere un preventivo al professionista, né tanto meno obbligatorio per quest’ultimo stipulare un disciplinare d’incarico. Se così fu all’origine, oggi non lo è più e il cambiamento è avvenuto, paradossalmente, contemporaneamente a evoluzioni radicali degli scenari economici, che ormai consentono soltanto al lavoro estremamente qualificato e alla creatività, di ottenere quel valore aggiunto, che permette ad alcune imprese del nostro Paese di non trasferire all’estero tutte le unità produttive. Vi è così tanto contenuto di beni Immateriali e di saperi, nei prodotti che compriamo, che il confine tra prodotto e servizio si va sempre più sfumando. Proprio in questa temperie, l’Italia sta mettendo a punto uno Statuto del lavoro autonomo, che dovrebbe porre qualche rimedio a questa deriva, che rischia d’essere senza sbocchi.

Riqualificare la componente intellettuale della produzione di beni, è di primario interesse sia per i professionisti, liberi e non, sia per le Imprese, che in modo frequente integrano il lavoro intellettuale nei propri apparati produttivi. Difatti, il disegno di legge n. 2233 ‘Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale’ approvato al Senato lo scorso novembre ha passato l’esame della commissione XI Lavoro, presieduta dall’onorevole Damiano e sarà assegnato al voto della Camera dei deputati. Ma a noi appare che l’importanza di questo atto legislativo, non risiede tanto nelle misure di tutela e welfare in caso di malanni gravi, nella deducibilità delle spese per formazione, nell’accesso ai fondi europei, nella previsione dei congedi parentali per maternità e paternità o nel divieto di clausole contrattuali vessatorie da parte della committenza; la svolta che questa legge potrà contribuire a produrre sarà piuttosto costituita dal riconoscimento dei lavoratori intellettuali quali soggetti produttori della ricchezza del Paese e quindi sarà la base per il rilancio del loro valore sociale.

Bisogna riconoscere che per troppo tempo, gli architetti e gli ingegneri liberi professionisti hanno ritenuto di giocare una partita con regole diverse da quelle dell’economia e del lavoro, di operare cioè in una specie di ‘riserva di caccia’ costituita dal professionalismo, che avrebbe dovuto rappresentare un’altra modalità di organizzazione del lavoro, rispetto a Mercato e Burocrazia, a Capitalismo e Socialismo, a Liberismo e Statalismo. Un disegno, più o meno consapevole, al quale è mancata però la necessaria forza politica e finanziaria, la coesione e soprattutto quella condivisione sociale, che sola avrebbe potuto sancire una tale particolarità.

 

fonte: impresedilinews.it