Professionisti con la valigia

In Italia ci sono quasi 2,4 milioni di lavoratori stranieri che producono 164,2 miliardi di euro di valore aggiunto, pari all’8,8% del Pil nazionale. Circa un terzo è rappresentato da professionisti. Ma per medici, avvocati, ingegneri e altre professioni regolamentate, il riconoscimento delle qualifiche professionali è ancora un percorso a ostacoli

di Gianluca Pillera

 

C’è un movimento silenzioso, ma tangibile, che attraversa l’Italia e contribuisce in modo significativo alla sua economia. Non parliamo di turisti, né di lavoratori stagionali. Si tratta di ingegneri, medici, architetti, consulenti aziendali, esperti IT: professionisti stranieri che scelgono di esercitare la loro attività in Italia, portando con sé un bagaglio di competenze e una visione internazionale. Questo apporto di professionalità si inserisce in un contesto più ampio di contributo economico da parte di tutti i lavoratori stranieri, un fenomeno che ha assunto dimensioni significative negli ultimi anni, grazie anche a normative più chiare sul riconoscimento delle qualifiche professionali e a una crescente apertura verso il lavoro da remoto.

 

Il contributo al Pil

Secondo i dati del XIV Rapporto sull’Immigrazione (2024), quasi 2,4 milioni di persone, pari a oltre il 10% della forza lavoro totale, sono occupate nel nostro Paese. Ciò significa che i lavoratori stranieri producono 164,2 miliardi di euro di valore aggiunto, pari all’8,8% del Pil nazionale. Questa percentuale raddoppia nei settori dell’agricoltura (16,4%) e dell’edilizia (15,1%). Dei 2,37 milioni di occupati non italiani, una parte significativa (29,2%) è costituita da personale qualificato, categoria che comprende anche i professionisti, come ingegneri, medici e architetti. Il loro apporto di competenze specializzate è fondamentale per settori rilevanti dell’economia italiana.

 

Cresce l’imprenditoria

L’imprenditoria straniera continua a espandersi, con 776.000 imprenditori stranieri, pari al 10,4% del totale. Negli ultimi dieci anni, gli imprenditori stranieri sono cresciuti del 27,3%, con un’incidenza maggiore nel Centro-Nord e nei settori edile, commerciale e della ristorazione. In contrasto, gli imprenditori italiani sono diminuiti del 6,4% nello stesso periodo. Questo dinamismo imprenditoriale contribuisce ulteriormente alla crescita economica e alla creazione di posti di lavoro in Italia.

Tuttavia, nonostante questi risultati significativi, persistono alcune problematiche che richiedono attenzione e interventi mirati.

 

Le questioni aperte

Pur considerando il loro rilevante contributo all’economia italiana – un saldo positivo di 1,2 miliardi di euro tra tasse, contributi e spesa pubblica per il welfare, dovuto principalmente alla loro concentrazione nelle fasce d’età lavorative – la situazione dei lavoratori stranieri in Italia presenta ancora aspetti critici.

In particolare, il divario retributivo di circa 8 mila euro annui rispetto ai colleghi italiani e le difficoltà nel riconoscimento dei titoli di studio esteri costituiscono barriere significative all’accesso a posizioni lavorative adeguate. Inoltre, permane la necessità di politiche inclusive che favoriscano una reale integrazione sociale e culturale, così da contrastare in maniera efficace la discriminazione.

Garantire pari opportunità e trattamento economico a tutti i lavoratori, indipendentemente dalla nazionalità, è un investimento strategico per il futuro del Paese e per migliorare la qualità della vita collettiva.

In questa direzione si muove la collaborazione tra Apri International e il ministero del Lavoro keniano per lanciare il programma “Erasmus Kenia” che, sulla scia del Piano Mattei per l’Africa, mira a promuovere lo sviluppo del lavoro professionale dei giovani professionisti kenioti.

 

Dati e provenienze

La presenza di professionisti stranieri in Italia è in crescita e si estende a settori sempre più qualificati. Al 1° gennaio 2023, gli stranieri residenti nel Paese costituivano l’8,7% della popolazione totale (5.141.341 persone), con le comunità rumena (21%), albanese e marocchina (entrambe all’8,1%) in testa. Se in passato la forza lavoro straniera era concentrata prevalentemente in mansioni a bassa qualificazione, oggi si osserva una crescente presenza di professionisti in ambiti specializzati come l’ingegneria civile, la programmazione software, il design industriale e la consulenza finanziaria.

Il settore tecnologico, in particolare, attrae sviluppatori software, esperti di cybersecurity e ingegneri IT provenienti soprattutto dall’Est Europa e dall’Asia centrale. Anche la sanità e l’edilizia beneficiano dell’apporto di professionisti stranieri: medici e infermieri contribuiscono a colmare la carenza di personale sanitario, mentre architetti, project manager e altre figure tecniche arricchiscono il settore edile con competenze internazionali.

Sono quasi 70 mila i professionisti esteri che operano in Italia, secondo i dati censiti da BeProf. La maggior parte proviene dalla Romania, dalla Svizzera e dalla Germania (molti altri da Argentina, Venezuela e Brasile) e si concentra nelle professioni sanitarie e in quelle contabili; ma anche tra avvocati, architetti e ingegneri si registra una “apprezzabile” presenza di stranieri, prevalentemente stabilizzati in Lombardia e nel Lazio.

 

Le qualifiche professionali

L’Italia riconosce il valore delle competenze dei professionisti stranieri, ma la burocrazia rallenta ancora il loro ingresso nel mondo del lavoro. Per medici, avvocati, ingegneri e altre professioni regolamentate, la procedura è complessa e prevede un confronto tra i titoli di studio esteri e quelli italiani, gestito dai rispettivi ordini professionali. Anche per chi ha una professione non regolamentata, pur con un iter più semplice, è comunque necessario dimostrare le proprie competenze tramite certificazioni riconosciute o corsi di formazione integrativi. La digitalizzazione ha portato alcuni miglioramenti in tal senso, ma le differenze tra le varie regioni e i lunghi tempi di attesa rendono la procedura frammentata e poco chiara.

Va rilevato a tal proposito che la sentenza n. 24339/2024 della Corte di Cassazione costituisce un passo avanti significativo: stabilisce infatti che il riconoscimento dei titoli di studio esteri, se conformi alle normative italiane ed europee, è un diritto, non una concessione. Tale principio è in linea con le norme europee sulla libera circolazione di persone e servizi, che garantiscono pari opportunità di accesso al lavoro in tutti i paesi membri.

 

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