E venne il giorno

Verrà un giorno in cui la giurisprudenza della Suprema Corte diventerà univoca nel senso di riconoscere le giuste ragioni del professionista e allora rimarrà la vergogna di coloro i quali sono stati costretti a pagare doppio e anche il triplo considerando sanzioni e interessi. Quando quel giorno verrà, perché verrà, questo è sicuro, nel giro

Verrà un giorno in cui la giurisprudenza della Suprema Corte diventerà univoca nel senso di riconoscere le giuste ragioni del professionista e allora rimarrà la vergogna di coloro i quali sono stati costretti a pagare doppio e anche il triplo considerando sanzioni e interessi. Quando quel giorno verrà, perché verrà, questo è sicuro, nel giro di un attimo tutto passerà nel dimenticatoio e ci si concentrerà sugli altri pressanti problemi che nel frattempo la macchina burocratica avrà messo a cuocere (altri accertamenti meritati o immeritati, altre imposte sacrosante o vessatorie che siano).

Come nel famoso film “The Truman Show” in cui il protagonista, dopo una disperata fuga in barca, giunto semi morto alla fine dell’isola palcoscenico e posto di fronte alla scelta tra tornare indietro o andare incontro alla propria vita, con un inchino esce di scena dicendo “Buon giorno e caso mai non vi rivedessi, buon pomeriggio, buonasera e buonanotte”.  E tutti, semplicemente, cambiarono canale.

Questo scrivevamo nel numero di novembre 2018 di Confprofessioni.

 

Ebbene, quel giorno è arrivato!

La Corte di cassazione a Sezioni Riunite con sentenza n. 10378 del 12 aprile 2019 ha stabilito che il soggetto che ha subito una ritenuta fiscale non è responsabile per il mancato versamento della stessa da parte del sostituto d’imposta.

 

La Suprema Corte a SSUU ha analizzato il fatto concreto riferito a un dipendente che aveva subito, ad opera del proprio datore di lavoro, ritenute Irpef da questi poi non versate e pretese dal povero dipendente, maggiorando il tutto di sanzioni e interessi; tutto ciò accampando da parte dell’Agenzia delle entrate una solidarietà ab origine tra sostituto e sostituito.

Ebbene, nel decidere sul caso la Corte ha enunciato il seguente inappellabile e incontrovertibile principio di diritto: “Nel caso in cui il sostituto ometta di versare le somme, per le quali ha però operato le ritenute d’acconto, il sostituito non è tenuto in solido in sede di riscossione, atteso che la responsabilità solidale prevista dall’art. 35 D.P.R. n. 602 cit. è espressamente condizionata alla circostanza che non siano state effettuate le ritenute”.

 

Cosa piuttosto suggestiva è che all’esito della pubblica discussione, la difesa erariale ha dichiarato (visto evidentemente la mala parata, in considerazione delle note scritte della procura generale) di voler rinunciare al ricorso.

D’altronde a suo tempo avevamo sottolineato per evidenziare l’abbaglio di talune precedenti sentenze della Cassazione che il principio in base al quale il soggetto sostituito può scomputare le ritenute d’acconto solo se queste sono state effettivamente versate dal sostituto d’imposta non solo non è condivisibile ma è anche in palese contrasto con:

 

  1. l’inequivoco contenuto dell’articolo 22 del TUIR (Scomputo degli acconti) che prevede lo scomputo delle ritenute per il solo fatto che queste siano state operate prescindendo dal fatto che siano state versate;
  2. l’inequivoco contenuto dell’articolo 35 del DPR n. 602/1973 (Solidarietà del sostituito d’imposta) che afferma la solidarietà tra sostituito e sostituto solo e unicamente quando la ritenuta è stabilita a titolo d’imposta (e non d’acconto) e il sostituto negligente non l’abbia operata;
  3. le numerose norme tributarie che prevedono (queste si, quando tassativamente lo prevedono) la solidarietà tra le parti per il versamento dell’imposta (verranno elencate oltre);
  4. la disposizione contenuta nell’articolo 163 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 che prevede il divieto di doppia imposizione nei confronti dello stesso soggetto;
  5. le stesse istruzioni dell’Agenzia delle entrate della Risoluzione n. 68 del 19/3/2009, citate in modo distorto e pretestuoso dall’Ufficio per arrivare a tesi contraria a ciò che chiaramente la risoluzione afferma;
  6. le più recenti pronunce della giurisprudenza della Suprema Corte che in modo argomentato hanno stabilito che non vi è alcuna solidarietà tra sostituito e sostituto.

 

 

Vediamo allora nell’ordine.

  1. L’articolo 22 del Tuir rubricato “Scomputo degli acconti” dispone che “1. Dall’imposta determinata a norma dei precedenti articoli si scomputano nell’ordine: …(omissis) …c) le ritenute alla fonte a titolo di acconto operate sui redditi che concorrono a formare il reddito complessivo e su quelli tassati separatamente.”.  Come evidente lo scomputo della ritenuta è esclusivamente subordinato a che la stessa sia stata operata e non si fa alcun riferimento alla circostanza che essa debba essere anche stata versata dal soggetto che l’ha operata.
  2. L’articolo 35 del DPR n. 602/1973, rubricato “Solidarietà del sostituto d’imposta” afferma una cosa chiara, inequivoca, razionale e del tutto comprensibile: “Quando il sostituto viene iscritto a ruolo per imposte, soprattasse e interessi relativi a redditi sui quali non ha effettuato né ritenute a titolo d’imposta né i relativi versamenti, il sostituito è coobbligato in solido.”.  E’ chiaro, perché è espressamente indicato, che la solidarietà scatta solo se la ritenuta non versata sia prevista a titolo d’imposta e non sia stata operata, come avrebbe dovuto, dal sostituto. La ratio è evidente: con il prelievo a titolo d’imposta da parte del sostituito si esaurisce, in unico contesto, l’obbligazione tributaria del sostituito di talché, la mancata applicazione della ritenuta ed il successivo mancato versamento da parte del primo soggetto fa sì che il reddito percepito dal secondo risulti privo di imposizione; da qui la razionale e logica solidarietà prevista dalla norma anche a carico del sostituito in quanto questo è l’effettivo beneficiario economico della condotta omissiva del sostituto. Analoghi presupposti non sono ravvisabili nei casi (come quello di specie) in cui le ritenute (d’acconto) risultano effettivamente operate e, quindi, trattenute dal sostituto con onere a carico del sostituito che, di fatto, percepisce un reddito decurtato dell’importo della ritenuta. Non vi è ragione, in un caso del genere, per invocare la solidarietà del sostituito rispetto all’eventuale mancato versamento all’Erario delle ritenute (comunque) operate dal sostituto. Il sostituito (a differenza del caso in cui trova applicazione il citato art. 35) è risultato già inciso dell’onere per imposte in quanto effettivamente applicate alla fonte da parte del sostituto, per cui una nuova imposizione (in regime di solidarietà) si tradurrebbe in una ingiustificata duplicazione di onere tributario.
  3. Quando il legislatore ha inteso prevedere una solidarietà tributaria tra le parti lo ha previsto espressamente, come ad esempio, in materia di imposta di registro: infatti, l’articolo 57 del DPR n. 131/1986 rubricato “Soggetti obbligati al pagamento” prevede “Oltre ai pubblici ufficiali che hanno redatto, ricevuto o autenticato l’atto, e ai soggetti nel cui interesse fu richiesta la registrazione, sono solidalmente obbligati al pagamento dell’imposta le parti contraenti…”. E ancora, in materia di sanzioni per inadempimento da reverse charge Iva, il comma 9-bis.1 dell’articolo 6 del D. Lgs. n. 471/1997 dispone che al pagamento delle sanzioni cui è tenuto il committente o cessionario è anche “solidalmente tenuto il cedente o prestatore”. E poi con l’Iva in ipotesi di frode: l’articolo 60-bis del DPR n. 633/1972 rubricato “Solidarietà nel pagamento dell’imposta” stabilisce “In caso di mancato versamento dell’imposta da parte del cedente relativa a cessioni effettuate e prezzi inferiori al valore normale, il cessionario, soggetto ad adempimenti ai fini del presente decreto, è obbligato solidalmente al pagamento della predetta imposta.”. Ancora, l’articolo 14 del D.LGS 472/1997, in tema di cessione d’azienda prevede la responsabilità in solido, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente ed entro i limiti del valore dell’azienda o del ramo d’azienda, per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore. Dunque, come si vede, la solidarietà non è estranea al campo tributario ma il legislatore quando ha inteso prevederla lo ha fatto in modo espresso e non la si può certamente disporre in via estensiva e/o analogica.
  4. L’Agenzia agisce in violazione della norma che prevede il divieto di doppia imposizione disposto dall’articolo 163 del Tuir. Diversamente opinando, l’amministrazione finanziaria si porrebbe in palese contrasto con il principio generale del divieto di doppia imposizione (cfr. Commissione Tributaria Centrale, sentenza del 3 aprile 1995, n. 1303, in Rassegna tributaria 1995, 1708: “qualora il contribuente, per fatto omissivo del sostituto d’imposta, non è posto in grado di produrre la documentazione necessaria per provare di aver subito le ritenute d’acconto, le somme dovute non possono essere richieste anche allo stesso sostituto, stante il divieto di doppia imposizione posto dagli artt. 7 e 67 del D.P.R. 600/73”).
  5. Il risultato che consegue alla ripresa a tassazione delle ritenute operate ma non versate – come nel caso di specie – è dunque, oltre che iniquo, giuridicamente illegittimo in quanto viola il divieto di doppia imposizione, oggi chiaramente sancito dall’art. 163 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, che testualmente dispone: “1. La stessa imposta non può essere applicata più volte in dipendenza dello stesso presupposto, neppure nei confronti di soggetti diversi.”.

 

Ebbene la Suprema Corte (Presidente Curzio, relatore Bruschetta, … piace citarli) mettendo la parola fine a questa triste vicenda e valorizzando esattamente tutte le affermazioni sopra riportate così conclude: il dovere di versamento della ritenuta d’acconto costituisce un’obbligazione autonoma, rispetto all’imposta; un’obbligazione che la legge ha posto solamente a carico del sostituto, a mezzo degli artt. 23 ss. D.P.R. n. 600 cit.; e che trova la sua causa nel corrispondente obbligo di rivalsa stabilito dall’art. 64, comma 1, D.P.R. n. 600.

 

“Buon giorno e caso mai non vi rivedessi, buon pomeriggio, buonasera e buonanotte”. 

E tutti, semplicemente, cambiarono canale.

 

Autore/i:
di Lelio Cacciapaglia e Maurizio Tozzi