L’Associazione Nazionale Archeologi (ANA), che lo scorso 23 gennaio è stata invitata a presentare alla VIII Commissione della Camera dei Deputati una relazione in materia di archeologia nel Codice dei Contratti Pubblici, ritiene utile fare il punto della situazione nel dibattito che si è sviluppato in queste ore sulla situazione di stallo di circa 800 progetti per opere relative alla transizione energetica individuate dal Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec) e dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).
È stato già pubblicamente rilevato da molti e diversi soggetti, in primis dall’ANA, che importanti criticità si concentrano nelle linee guida per la procedura di verifica preventiva dell’interesse archeologico (DCPM 14 febbraio 2022), strumento chiaramente incompatibile con gli intendimenti di semplificazione, speditezza ed efficacia che animano il nuovo codice, e del quale pertanto è stata richiesta l’abrogazione e l’immediata sostituzione con uno strumento realmente utile a portare ordine nella materia, senza lasciare sacche di opacità e meccanismi contorti.
“Seppur comprensibili, le critiche che in questi giorni due importanti quotidiani nazionali – Corriere della Sera e Messaggero – hanno riservato all’archeologia, vanno riletti e meglio indirizzati in considerazione della complessità della materia”, dichiara Alessandro Garrisi, Presidente Nazionale ANA, che prosegue: “Va detto innanzitutto che il ministero non è un blocco unico che agisce all’unisono, ma ha articolazioni che si muovono su canali non sempre comunicanti. La tutela territoriale è esercitata dalle soprintendenze, per esempio, che sono strutture periferiche del MIC, le quali applicano al meglio delle loro possibilità normative inefficaci decise in Parlamento e procedure e linee guida spesso bizantine e opache definite altrove, presso altri uffici del ministero, che invece non sono periferici ma centrali.
Questo è il caso dell’ICA, Istituto Centrale per l’Archeologia, novità introdotta anni fa dall’ex ministro Franceschini, protagonista negli anni di una gestione spesso insoddisfacente (sull’elaborazione di formati e linee guida, ma anche nella gestione delle concessioni di scavo), tanto che in molti si chiedono quale sia la sua reale utilità. Calzante esempio è proprio la produzione delle “Linee guida dell’archeologia preventiva”, procedura operativa calata dall’alto senza alcuna condivisione non solo con le associazioni di categoria, ma nemmeno con quei professionisti che giorno dopo giorno si dimenano tra eleganti tavoli di progettazione e campi fangosi da ricognire faticosamente e che conoscono meglio non solo la materia, ma soprattutto la sua concreta applicazione.
Il famoso DCPM del 14 febbraio 2022, contenente quelle Linee Guida, è quindi il primo strumento da abrogare nel nuovo codice dei contratti pubblici se si vuole immaginare un futuro nel quale tutela archeologica e sviluppo infrastrutturale del paese siano concetti ed interessi non conflittuali. Nuove linee guida serviranno dopo l’abrogazione delle precedenti, ma affinché siano realmente utili alla causa sarà opportuno che a scriverle sia chi conosce la materia. Mi chiedo perché non coinvolgere nella loro redazione proprio l’associazione di categoria e chi in passato ha dimostrato piena conoscenza della materia e della sua concreta applicazione: penso ad esempio al Direttore Luigi Malnati, che con la sua esperienza potrebbe fornire un contributo dirimente.
Noi archeologi già ci siamo espressi contro l’archeologia ostativa a prescindere, e su questo c’è una convergenza di pensiero – cosa rara in un settore diviso come il nostro – tra la gran parte dei liberi professionisti, imprese e funzionari delle soprintendenze. Ognuno per le proprie pertinenze, gli archeologi italiani sono pronti ad affrontare con coraggio la complessa sfida di coniugare tutela del patrimonio e progresso del Paese.
Chiediamo però alla politica di avere pari coraggio e dotare il Paese di strumenti efficaci e moderni, normative nuove (come il nuovo Codice dei Contratti Pubblici) all’interno del quale spariscano tutti quei meccanismi ostativi a prescindere, ma che garantiscano alle soprintendenze di poter intervenire in trasparenza con correttivi efficaci e rapidi e ai professionisti e alle imprese private di fornire servizi e lavori in un quadro normativo/procedurale efficiente, semplice e coerente, non soffocato da centralizzazioni inutili e burocratizzazioni”.
“Le accuse volte all’archeologia preventiva e al sistema della tutela nel suo complesso sono il doloroso epilogo delle vicende di un paese che non ha saputo implementare una archeologia preventiva europea, consegnando l’immagine di una disciplina in forma di ostacolo allo sviluppo. dichiara Paolo Güll, Presidente del Comitato Tecnico – Scientifico dell’ANA, che prosegue: “Non è così ma perché questo sia chiaro bisogna cogliere in fretta l’occasione per ridisegnare lo scenario in modo finalmente efficiente e facendo sì che il sistema sia funzionale alla creazione di un maggior valore dato dalla migliore qualità progettuale che l’inserimento degli archeologi nei gruppi di progettazione può garantire.
Occorre però che siano anche ridisegnate competenze e responsabilità facendo in modo che l’attività di verifica preventiva non sia un mero adempimento procedurale ma un reale confronto fra archeologi professionisti e altre professionalità tenendo, ben distinto e rinforzando il ruolo di controllo degli uffici periferici del MiC“.
L’Associazione Nazionale Archeologi non crede insomma nell’idea di un’archeologia ostativa a prescindere, ma in quella di un’archeologia intesa come servizio pubblico reso al Paese, capace di coniugare le esigenze di tutela del patrimonio archeologico con lo sviluppo e l’ammodernamento infrastrutturale, archeologia e soprattutto archeologi per davvero al servizio della comunità, professionisti consapevoli, preparati, in grado di assicurare gli interessi costituzionali del patrimonio culturale, la sua tutela e fruizione, insieme allo sviluppo sano e corretto dei territori in sinergia con le comunità residenti.