Silver Economy, croce e delizia

In Italia il 24% della popolazione è over65. Una fetta destinata a crescere al 35% entro il 2050, che pesa sui conti pubblici di previdenza e sanità. Ma che stimola molto i consumi. La ricchezza media pro-capite dei “Silver” è infatti stimata attorno ai 292 mila euro. Tesoretti che hanno resistito molto bene ai periodi di crisi, tanto che le loro famiglie sono le meno indebitate in assoluto. La loro domanda di beni e servizi può dare una spinta decisiva al mercato in termini di crescita economica e occupazionale. Ma bisogna muoversi.

Di Nadia Anzani

Da Il LIbero Professionista Reloaded #9 

Dicono che nulla più dei numeri sia efficace per prendere coscienza di un fenomeno. E allora iniziamo con il dire che se la “silver economy” fosse uno stato sovrano si posizionerebbe al terzo posto al mondo per dimensioni, alle spalle di Usa e Cina, con un tasso di crescita del 5% annuo. Un incremento del Pil che solo Paesi come Cina e India riescono a superare. A dirlo è il Quaderno di Approfondimento “Silver Economy, una nuova grande economia. Chi sono, cosa fanno e cosa desiderano i Silver italiani”, firmato da Itinerari Previdenziali.

«Gli uomini e le donne over65 oggi in Italia rappresentano il 24% della popolazione totale, percentuale che, in base alle ultime previsioni Istat è destinata a salire al 35% entro nel 2050, anno in cui si avrà un picco dell’invecchiamento della popolazione che poi si assesterà», spiega Michaela Camilleri, componente del Centro Studi e Ricerche di Itinerari Previdenziali e co-redattrice del volume. «Un trend in crescita che riguarda anche la popolazione over80, oggi al 7,6% del totale ma che fra 28 anni raddoppierà».

Primi per aspettative di vita

Numeri che piazzano il Belpaese al primo posto nella classifica europea dell’invecchiamento. A soffiare sulla crescita del trend due fattori in atto da tempo: la riduzione dei tassi di natalità e l’aumento delle aspettative di vita. «Il nostro Paese, infatti, è al primo posto in Europa anche per il tasso di vita media», precisa Camilleri. «Ma per quanto riguarda le aspettative di vita in buona salute veniamo superati dai Paesi europei come Svezia e Spagna. Non è un caso che, come emerge dalla nostra ricerca, la paura principale dei silver made in Italy sia proprio quella di perdere l’autosufficienza.

Se si uniscono gli effetti dei fenomeni demografici e le condizioni di salute della popolazione più anziana appena descritte, la sfida dell’invecchiamento si lega inevitabilmente a quella della non autosufficienza, spesso inevitabile conseguenza dell’allungamento della vita media.

Questo significa che il mercato dell’assistenza domiciliare e della cura alla persona, ma anche quello delle polizze long term care o salute, hanno ampi margini di crescita nei prossimi anni. Crescita che porta con sé un incremento dell’offerta di lavoro in questi settori». Già questo dovrebbe bastare per capire quanto sia importante non trascurare i senior e l’economia che gira loro intorno.

L’impatto sul sistema previdenziale

Ma se consideriamo l’impatto dei silver sul sistema previdenziale, il concetto appare ancora più chiaro. Basti dire che la spesa per il welfare, che in larga parte coinvolge gli over 65, rappresenta quasi il 54% dell’intera spesa pubblica e il 64,6% delle entrate. «Stiamo parlando di 500 miliardi di euro destinati a sostenere le spese di previdenza, assistenza e sanità», dice Camilleri. «Una quota che difficilmente le casse pubbliche riusciranno a incrementare ulteriormente nei prossimi anni, soprattutto in termini di assistenza. Le previsioni sulla crescita della spesa pubblica dicono infatti che sarà proprio quest’ultima a crescere a ritmi più elevati. La spesa per assistenza, a differenza di quella pensionistica, non ha regole precise e un monitoraggio efficace tra i vari enti erogatori (centrali e territoriali).

Quindi è indubbio che bisogna lavorare soprattutto sul versante della spesa assistenziale, anche incrementando e sviluppando un welfare complementare».

Il peso sulla spesa sanitaria

Ma gli over65 impattano notevolmente anche sui costi della sanità. Nel 2020, per esempio, siamo già arrivati a 123 miliardi di euro, il che significa il 13% della spesa pubblica e quasi il 7,5% del Pil. Numeri che allarmano non solo alla luce dei tassi di crescita dell’invecchiamento della popolazione, ma anche della situazione critica in cui versa il nostro Sistema Sanitario Nazionale. Basti considerare, come bene evidenzia il rapporto di Itinerari Previdenziali, l’attuale carenza di medici specialistici, anestesisti, medici di base e personale infermieristico, la cui età media, peraltro, è elevata (siamo al vertice della classifica OCSE per quota di medici over55 sul totale, oltre il 55%) e che nei prossimi anni andranno in quiescenza lasciando scoperti molti posti. Un quadro complesso che lascia presagire un aumento della spesa per la sanità nei prossimi anni. «Per far fronte alle necessità di una popolazione che invecchia occorrerà infatti provvedere all’assunzione di migliaia di medici e infermieri ed eliminare o rimodulare il numero chiuso delle specialità che non consente di avere un corretto “tasso di rimpiazzo”, costringendo molti dei nostri laureati a trasferirsi all’estero per la specializzazione.

Tutti elementi che, in termini di opportunità per il settore della silver economy, portano a considerare l’esistenza di ampi margini di intervento per gli attori privati che operano in questo ambito (compagnie di assicurazione e forme di assistenza sanitaria integrativa) con la possibilità di affiancare e sostenere il sistema sanitario pubblico», afferma Camilleri.

E, con una popolazione che avanza negli anni, occorrerà anche ampliare e rafforzare il sistema di assistenza domiciliare territoriale, a oggi ancora poco sviluppato, ma destinato a ricoprire un ruolo centrale in futuro. «Anche perché cambieranno non solo le necessità e i bisogni delle persone, ma si accentuerà anche il cambiamento, già in corso, della struttura familiare», prosegue Camilleri. «Secondo alcune previsioni, infatti, nel 2040 le persone sole rappresenteranno il 33% del totale degli over65.

E quelle in coppia, ma senza figli, rappresenteranno il 41%. Venendo a mancare una rete famigliare assistenziale, le necessità di uomini e donne sono destinate per forza a mutare e dobbiamo prevedere per tempo come soddisfarle al meglio».

Non solo costi

I Silver però non rappresentano solo un costo, se è vero, come è emerso dalla ricerca di Itinerari Previdenziali, che il solo reddito complessivo imputabile alle pensioni degli over65 si muove attorno ai 260 miliardi di euro, con una ricchezza media pro-capite stimata da Banca d’Italia in 292 mila euro, tra patrimonio mobiliare e immobiliare.

Tesoretti, peraltro, che hanno resistito molto bene ai periodi di crisi, tanto che le famiglie guidate da over65 risultano essere le meno indebitate in assoluto. Si tratta quindi di una ricchezza consistente e stabile. E l’immagine del senior, ingrigito dalla vita che passa la maggior parte del suo tempo davanti alla Tv, va definitivamente archiviata. Oggi i senior hanno voglia di benessere e hanno una disponibilità economica elevata che consente loro di viaggiare e acquistare beni di qualsiasi genere.

Ma il Paese è pronto a far crescere in modo armonico la silver economy?

«In realtà abbiamo molta strada ancora da fare per raggiungere questo traguardo», commenta Camilleri. «Dalla nostra survey, che ha coinvolto più di 5.000 soggetti, è emerso, per esempio, che ancora oggi le persone con un piano di sanità integrativa sono poche e in prevalenza si tratta di lavoratori dipendenti che vi accedono da contratto. Lo stesso vale per i piani pensionistici integrativi e per le polizze vita. Ma c’è molto da lavorare anche sul fronte della sanità dove andrebbe implementata e rafforzata la parte di assistenza domiciliare, come detto sopra, ma anche l’assistenza a distanza con la telemedicina».

Da sviluppare in ottica senior anche il discorso della casa. «Noi abbiamo in mente una residenzialità per anziani unica, dove le persone non autosufficienti vengono inseriti in Rsa, ma dovremmo iniziare a ragionare e lavorare per uno sviluppo del senior housing. Strutture domiciliari aperte anche a silver in buona salute che qui possono condividere le loro attività quotidiane con altre persone, avere assistenza mirata e godere di una maggiore socialità. In Italia ci sono già esperienze positive in questa direzione, ma andrebbero sviluppate maggiormente», interviene Camilleri.

Per tutto questo i silver rappresentano anche un’importante opportunità di crescita economica per il Paese ed è bene che imprese, enti e istituzioni inizino ad attrezzarsi per soddisfare le loro esigenze.

 Il nodo del lavoro

E anche il mondo del lavoro deve adeguarsi all’invecchiamento della popolazione e a un traguardo pensionistico che si sposta sempre più in là.

Non possiamo pensare di tenere gli over 60-65 in naftalina fino alla pensione o al massimo pensare a scivoli e programmi di pensione anticipata. Se la vita lavorativa si allunga vanno pensati anche programmi di formazione, aggiornamento professionale e di engagement per i senior, cosa che oggi ben poche aziende fanno.

«L’invecchiamento attivo va considerato come pilastro. Per questo è fondamentale per le imprese pensare a strategie che agevolino la permanenza al lavoro dei silver. Il loro know how, la profonda conoscenza che hanno della cultura aziendale sono valori preziosi che non vanno persi ma sapientemente trasmessi alle giovani generazioni», chiosa Camilleri.

In un orizzonte di medio periodo è sempre maggiore l’interesse degli operatori economici per la cosiddetta Silver Economy. Le evoluzioni demografiche delle economie occidentali evidenziano come si debba sempre più guardare alla domanda espressa dalle persone anziane rispetto alle loro necessità di consumo, di assistenza e di salute.

Da un punto di vista di costi sociali questo fenomeno comporterà difficili sfide volte a sostenere l’equilibrio finanziario dei sistemi previdenziali, assistenziali e sanitari. La struttura demografica della popolazione italiana evidenzia il progressivo invecchiamento legato all’avanzamento della cosiddetta “onda dei boomers”, ovvero dei nati negli anni ’60 che percentualmente rappresentano la maggioranza della popolazione per fasce d’età.

L’aumento della speranza di vita, le scoperte in campo sanitario, il miglioramento della qualità media di vita, insieme ad altri fattori, fa si che nel tempo sempre più persone vivano più a lungo incrementando nel tempo il numero degli anziani rispetto al resto della popolazione.

Di fatto quella che veniva definita la “piramide” della popolazione italiana si troverà capovolta nel giro di poche decine di anni. In termini di equilibri finanziari del nostro sistema pubblico di protezione sociale, sarebbero molteplici gli argomenti che necessitano di adeguato approfondimento. In questa sede ci limitiamo ad alcune brevi considerazioni sulla struttura finanziaria del nostro sistema previdenziale analizzando le evoluzioni attese delle uscite per pensioni e delle entrate per contributi.

Un tema correlato, che in questa sede trascuriamo, è quello della quantificazione dei futuri trattamenti pensionistici da cui deriva la capacità di spesa delle coorti di consumatori appartenenti alla Silver Economy.

Meno gettito, più spese previdenziali

Come noto i sistemi pensionistici a ripartizione non prevede un accumulo effettivo di risorse finanziarie in quanto i contributi versati dagli iscritti vengono immediatamente utilizzati dall’Ente gestore per la corresponsione delle rendite ai pensionati in essere.

Il meccanismo di finanziamento del sistema pubblico italiano può essere definito a “ripartizione assistita”, poiché caratterizzato da uno strutturale disavanzo di gestione tra entrate e uscite previdenziali per il quale si è costretti a intervenire attraverso la fiscalità generale con trasferimenti annui dal bilancio dello Stato.

La quota finanziata dalle entrate contributive rappresenta un indicatore della “capacità di autofinanziamento” mentre la quota caricata sulla fiscalità generale è una misura dello “squilibrio corrente”. Pertanto l’elemento determinante per la sostenibilità finanziaria è l’evoluzione demografica degli iscritti. In linea di massima tale meccanismo può funzionare regolarmente in caso di “linearità demografica”, ovvero in una situazione con afflusso costante di nuovi lavoratori a sostituzione dei corrispondenti pensionamenti. Per quanto detto questo non è certamente il caso italiano per il quale nei prossimi decenni è previsto l’imponente pensionamento dell’onda dei boomers in quantità certamente non supportata da nuovi ingressi di lavoratori contribuenti.

Si consideri che da un punto di vista finanziario l’effetto prodotto è duplice perché verrà a mancare un importante gettito contributivo che sarà sostituito dalle spese legate alle prestazioni previdenziali maturate.

Bilancio pubblico, rischio collasso

Sulla base di queste considerazioni, visto l’impatto sul Bilancio pubblico, riteniamo estremamente importante l’attività previsiva di lungo periodo e il relativo monitoraggio dell’evoluzione dei flussi finanziari legati al comparto della protezione sociale: se si dovesse perdere il controllo di tale voce di spesa è evidente che il sistema collasserebbe non essendo pensabile una altrettanto ampia capacità di copertura da parte della fiscalità generale. I grafici mostrano, in termini prospettici, come il progressivo incremento nel tempo del rapporto tra gli over70 e la popolazione in età lavorativa porti a una parallela contrazione del rapporto attivi/pensionati: la tendenza è verso la paradossale situazione in cui il numero dei pensionati appartenenti al sistema supererà quello dei lavorati attivi. In assenza di adeguati e preventivi interventi, gli effetti finanziari di tale fenomeno, in termini di conti pubblici, potrebbero rivelarsi drammatici. In termini tendenziali possiamo verificare l’incremento nel tempo sia delle entrate contributive (da 210 a 230 miliardi di euro circa) che delle uscite per prestazioni istituzionali (da 310 a 360 miliardi di euro circa).

Il fatto che queste ultime stiano crescendo in maniera proporzionalmente maggiore, unito agli altri costi di gestione dell’Ente, ha fatto si che i trasferimenti diretti dallo Stato (da sommarsi al saldo negativo di Bilancio) siano cresciuti anch’essi passando da 100 miliardi di euro circa a oltre 130.

Tutto ciò in una situazione che può essere considerata ancora favorevole in termini di rapporto Attivi/Pensionati: per quanto visto in precedenza il numero dei percettori sarà, con il pensionamento dei baby boomers italiani (tra il 2030 e il 2045), decisamente superiore al numero della componente attiva. Ciò comporterà un flusso inferiore di entrate contributive e in contropartita un flusso molto superiore di uscite previdenziali ed assistenziali.

Tale circostanza, associata all’innalzamento dell’aspettativa di vita, appare evidentemente insostenibile per il nostro sistema in termini di Bilancio Pubblico (che sarà peraltro messo a dura prova da altre voci di spesa correlate come ad esempio la sanità pubblica).

Primo: tutelare i lavoratori

Appare comunque più che evidente la necessità di tempestivi provvedimenti strutturali che mettano in sicurezza i risparmi previdenziali degli attuali lavoratori attivi. Personalmente ritengo che una condizione necessaria sia l’implementazione di un sistema previsivo puntuale e trasparente utile alle valutazioni prospettiche di medio lungo periodo -analogo a quello imposto alle Casse private- al fine di poter prevedere gli andamenti di lungo periodo e intervenire con tempestività. Ritengo infatti che solo con una consapevolezza nitida, condivisa e diffusa della situazione prospettica potranno essere richiesti i necessari sacrifici agli attuali e futuri lavoratori e pensionati, indispensabili per la tenuta del sistema.