Parità di genere: questione femminile o maschile?

Nono contributo della rubrica Spazio Psicologico a cura di PLP di Elisa Mulone Psicologa e psicoterapeuta Presidente Nazionale PLP   Questo contributo vuole essere una riflessione rivolta ai liberi professionisti, ma non solo, su un argomento di cui si discute da tempo. Non sarà esaustiva perché è un tema molto complesso con diverse sfaccettature che
Nono contributo della rubrica Spazio Psicologico a cura di PLP

di Elisa Mulone

Psicologa e psicoterapeuta

Presidente Nazionale PLP

 

Questo contributo vuole essere una riflessione rivolta ai liberi professionisti, ma non solo, su un argomento di cui si discute da tempo. Non sarà esaustiva perché è un tema molto complesso con diverse sfaccettature che meritano singoli approfondimenti.

Negli ultimi anni si è discusso tanto di parità di genere, di pari opportunità, della condizione della donna.

 

 

Se ne è discusso molto anche durante questo periodo in cui la pandemia da Coronavirus ha condizionato e imposto cambiamenti ai ritmi e alle abitudini familiari. Lo scorso 7 luglio, Confprofessioni Calabria ha realizzato un webinar con numerosi interventi e testimonianze in merito ai cambiamenti nella vita delle donne lavoratrici. In tale occasione la vicepresidente della Confprofessioni nazionale Claudia Alessandrelli ha giustamente sottolineato come “Parità di genere non è fare tutti le stesse cose ma mettere tutti nelle stesse condizioni, dare a tutti le stesse possibilità”, proprio perché parità di genere si traduce in pari opportunità e non in negazione delle differenze.

Intorno al concetto di genere ruotano numerosi stereotipi e pregiudizi che ne determinano culturalmente le ricadute sociali. E si parte da lontano, dagli albori della crescita. I bambini e le bambine sono esposti a condizionamenti culturali che ne determinano le attitudini da sviluppare, le aspirazioni da perseguire e i sogni da realizzare. Vi è una netta distinzione di genere nei giocattoli proposti per cui le femmine vengono indirizzate verso giocattoli che fanno riferimento al lavoro domestico e alla cura della famiglia o che rientrano nell’ambito del culto della bellezza stereotipata, mentre ai maschi sono rivolti giocattoli che fanno riferimento all’avventura, alla manualità, che valorizzano l’intelligenza, che fanno appello alla tecnica e alle scoperte scientifiche. In tal modo si promuove lo sviluppo di attitudini e comportamenti ritenuti socialmente adatti al proprio genere. In un’ottica di parità di genere sarebbe più giusto dare pari opportunità alle bambine e ai bambini, lasciando loro la libertà di poter scegliere con quali tipologie di oggetti giocare in modo da consentire a ciascun genere di sviluppare un numero maggiore di competenze e apprendere le abilità necessarie per la vita, senza imporre una connotazione stereotipica di ruolo.

 

 

Il genere richiama antropologicamente a questioni di potere. Non sono lontani gli anni in cui le donne in Italia “conquistavano” il diritto di voto (era il 1945), gli anni del movimento femminista contro la discriminazione e la sottomissione delle donne, del diritto a sposare chi amavano e a non essere terreno di conquista o di risarcimento. Ricordiamo la siciliana Franca Viola, prima donna italiana che si rifiutò di acconsentire alle nozze riparatrici con il suo stupratore per riparare alla sua “onorabilità compromessa”. Una donna che ha avuto il coraggio di ribellarsi e di cambiare il corso della storia. Grazie a lei si innescò un acceso dibattito che portò nel 1981 alla cancellazione dell’art.544 del codice penale che ammetteva il matrimonio riparatore e alla cancellazione dell’art. 587 che giustificava il delitto d’onore.

Scrive la storica Natalie Zemon Davis in un suo contributo pubblicato nel 1976 su “Feminist studies” e tradotto l’anno successivo su “DWF” “Mi sembra che dovremmo interessarci alla storia sia delle donne che degli uomini […] nostro obiettivo è quello di scoprire la varietà del simbolismo e dei ruoli sessuali in società e in epoche differenti, per capire che significato avessero e in che modo funzionassero per mantenere l’ordine sociale o per promuovere il cambiamento. Il nostro obiettivo è spiegare perché i ruoli sessuali fossero talvolta sottoposti a rigide prescrizioni e talaltra più fluidi, talvolta marcatamente asimmetrici, talaltra più egualitari”. Donne e uomini fanno esperienza e modificano nel tempo il rapporto tra loro e col mondo in una logica di reciprocità.

 

 

In questi ultimi anni, nei paesi occidentali in particolare, il ruolo sociale della donna è molto cambiato.

La donna, da regina della oikos si è spinta sempre di più nella polis. Oggi la donna esprime nella polis capacità per secoli espresse solo all’interno delle mura domestiche, ha maturato una propria autonomia economica e culturale provocando un stravolgimento di vecchi assetti tra uomo e donna. È necessario trovare un nuovo equilibrio per affrontare il disagio relazionale tra i generi e superare il pregiudizio e la diffidenza che ancora prevale nei confronti delle donne che rivestono ruoli apicali, soprattutto all’interno di categorie professionali storicamente di appannaggio maschile.

Come ci ricorda il professor Giovanni Salonia in riferimento all’accudimento dei figli: “Prima della postmodernità, la cogenitorialità era vissuta in modo scontato: il papà nella polis e la mamma in casa. Questo status era l’unico possibile in quanto guerre e fame richiedevano la presenza del maschio lontano da casa e le condizioni di non autonomia economica e professionale costringevano la donna a presidiare il focolare domestico. Anche quando la donna lavorava fuori dalle mura domestiche prima della postmodernità, durante la rivoluzione industriale, l’educazione dei figli rimaneva una sua esclusiva [… ] Oggi i genitori sono co-presenti sia in casa che nella polis e i compiti, dunque, si sovrappongono su un registro di collaborazione paritetica: è una cogenitorialità che potremmo chiamare ‘orizzontale’ e che, essendo inedita, va inventata e verificata di volta in volta […] Sfida in quanto nuova scoperta, ma dono certamente perché via che permette di sperimentare relazioni più appaganti e condizioni personali più luminose”

 

 

Tristemente la pandemia da coronavirus ci ha dimostrato come il cambiamento di paradigma è stato subito messo in crisi a scapito della donna che, nella maggior parte dei casi, ha dovuto fare i conti con quanto richiestole a livello sociale e far fronte, quindi, all’emergenza riorganizzando la propria vita lavorativa in funzione delle esigenze familiari. I dati ci dicono che molte donne hanno ridotto o interrotto la propria attività lavorativa e questo nel lungo periodo comporterà un impoverimento delle realtà lavorative che vedranno venir meno degli aspetti fondamentali di quella diversità che crea arricchimento.

 

 

Si rende necessario affrontare il tema della parità di genere come questione che riguarda l’essere umano, uomini e donne in una società in continua evoluzione. Se ad affrontare i discorsi sulla parità di genere, il gender gap, la violenza di genere saranno solo le donne per le donne, non si potrà affermare quel cambiamento di paradigma necessario a innescare una trasformazione sociale dei ruoli che non venga vissuta come minaccia ma come arricchimento.

Per questo è importante partire dall’educare i bambini al rispetto dell’altro, in quanto essere umano, e più in generale al rispetto della vita e del bene comune. Educare a vivere le differenze come ricchezza e non come lotta di potere o come minaccia potrà sviluppare rispetto e tolleranza per vivere insieme una reale parità di espressione nelle diverse aree di vita della persona.