Anf: incertezza sulle scuole di formazione per avvocati

L’associazione nazionale Forense chiede l’intervento del Ministro Bonafede per fare chiarezza sull’obbligo di frequentazione di corsi. Di seguito il comunicato stampa dell’Anf «Alla vigilia del XXXIV Congresso  nazionale forense di Catania rivolgiamo al Ministro Bonafede l’ennesimo appello affinché intervenga prontamente per risolvere l’attuale situazione di diffusa incertezza che riguarda i corsi obbligatori ai fini della
L’associazione nazionale Forense chiede l’intervento del Ministro Bonafede per fare chiarezza sull’obbligo di frequentazione di corsi. Di seguito il comunicato stampa dell’Anf

«Alla vigilia del XXXIV Congresso  nazionale forense di Catania rivolgiamo al Ministro Bonafede l’ennesimo appello affinché intervenga prontamente per risolvere l’attuale situazione di diffusa incertezza che riguarda i corsi obbligatori ai fini della pratica, in quanto i giovani laureati che vogliono avvicinarsi alla professione non sanno se e dove dovranno frequentare le scuole di formazione obbligatorie previste per il tirocinio forense. Da pochi giorni è in vigore il decreto ministeriale n. 17 del 2018 che, in attuazione della legge professionale del 2012, prevede l’obbligo per i praticanti avvocati di prendere parte ai corsi, ma molti ordini circondariali, anche per differenze legate a dimensioni, capacità economica e realtà territoriale, non sono in grado di organizzarli nonostante l’obbligatorietà prevista dalla legge».

Lo dichiara il segretario generale dell’Associazione Nazionale Forense, Luigi Pansini, nel suo intervento nel corso del confronto con esponenti delle forze di governo e dell’opposizione organizzato a Napoli dalla sede locale ANF.

 

«Sono maturi i tempi – continua Pansini  –  per una riscrittura delle norme della legge professionale in materia di accesso affinché le giovani generazioni non siano costrette a una “via crucis” per sostenere l’esame di abilitazione che è e rimane un esame, e non un concorso come quello previsto per gli aspiranti notai e magistrati. La riforma dell’accesso alla professione deve essere, inoltre, accompagnata dalla previsione di strumenti che favoriscano le aggregazioni professionali e le forme di collaborazione tra avvocati, compresa la possibilità di un rapporto di dipendenza, senza che si generino contrapposizioni all’interno della categoria. Dalle notizie di stampa di oggi prendiamo positivamente atto che le massime istituzioni forensi, anche se in ritardo, riconoscono l’importanza di non disperdere il patrimonio culturale e professionale di circa 30.000 colleghi che lavorano alle “dipendenze” di altri avvocati e siamo convinti che una regolamentazione del fenomeno possa favorire la crescita dell’intera avvocatura e migliorare anche il basso dato reddituale degli ultimi anni senza generare contrapposizioni tra colleghi o apocalittiche “lotte di classe”».

«L’idea di professione che portiamo all’attenzione del prossimo Congresso è incentrata sull’organizzazione del lavoro, sulla specializzazione del sapere a prescindere dai “corsifici”, sulle aggregazioni multidisciplinari e su una politica fiscale che valorizzi il ceto medio rappresentato dall’avvocatura, fuori e dentro la giurisdizione, e, più in generale, dal mondo delle professioni”, conclude Pansini.