PLP

Il non giudizio nella Mindfulness: racconto a lieto fine

Nuovo appuntamento con la rubrica Spazio Psicologico in collaborazione con l’associazione Psicologi Liberi Professionisti

di Cinzia Orlando, Psicoterapeuta, socia PLP

 

Ho iniziato a scrivere sulla Mindfulness per la rubrica Spazio Psicologico qualche tempo fa pensando di trattare ad uno ad uno gli argomenti definiti da Jon Kabat-Ziin i sette pilastri della meditazione.

La fiducia mi è sembrata una buona porta per entrare nella grande casa della Mindfulness.

Con quale argomento proseguire il mio discorso dedicato a Voi che siete qui con le mie parole? Chiudo gli occhi e aspetto qualche istante. Nulla. Il vuoto. Inizio ad accarezzare la mia gatta bianca e grigia.

La sua pancia è morbida e calda. È distesa sul divano, schiena in su. Inizio a sentire le sue fusa. Un suono così naturale. Ho imparato a non forzare l’atto creativo: è la gentilezza che lascia arrivare l’idea. E infatti arriva. Entra nella mia mente un ricordo: la prima sessione del programma per la riduzione dello stress. È sera, l’atmosfera è densa di curiosità, siamo in cerchio, chi sulla sedia chi sul tappetino colorato, sto citando la definizione che Jon Kabat-Zinn fa della Mindfulness: “portare intenzionalmente l’attenzione a ciò che accade, momento per momento, senza giudicare e con gentilezza”. Mentre il ricordo scorre nella mia mente le parole “senza giudicare” si accendono come vecchi neon.

Tutti i partecipanti ai miei gruppi colgono velocemente la definizione di Mindfulness ma quando si soffermano sulla parte che cita il non giudizio quasi sempre mi chiedono “che vuol dire senza giudicare?”.

Torno all’Adesso: la mia mente sceglie in un attimo, il secondo articolo sarà sul non giudizio.

Di solito giudichiamo tutto sparando agli aspetti delle azioni degli altri che ci arrecano più fastidio; il bersaglio è ciò che per noi è sgradevole. Fin tanto che giudichiamo gli altri, le loro mancanze i loro errori, abbiamo una fornitissima cartuccera a disposizione ed anche se il giudizio dipende dalla nostra condizione del momento, o dalla cultura da cui proveniamo; ma ciò che pensiamo dell’altro o che gli diciamo è: “Tu hai sbagliato, tu mi fai stare male!”.

Il discorso si complica molto quando il giudizio si rivolge a noi stessi e diventa autocritica. Puntiamo il fucile (a canne mozze) verso di noi e cominciamo a sparare non solo sulle azioni sbagliate, quelle che non vorremo rifare, ma soprattutto sulle emozioni o sensazioni o pensieri a noi sgradevoli. Possiamo fare tiro al bersaglio con amici, partner, colleghi, ma non possiamo eliminare sensazioni o emozioni o pensieri difficili in noi stessi! La roulette russa è bella e apparecchiata e non ci resta che aspettare il proiettile che ci darà il colpo di grazia. E si perché più violenta della paura, della tristezza e della rabbia è l’autocritica: aliena, mette cuore e mente l’uno contro l’altro lasciandoci stremati a terra. L’immagine del fucile si trasforma e ripesco dalla mente una vecchia icona anni ’70: come sarebbe se invece caricassimo a fiori i nostri fucili e decidessimo di puntare un’attenzione affettuosa agli aspetti della nostra esperienza che non ci piacciono?

Forse potremmo spacchettare le sensazioni difficili o le emozioni sgradevoli attraverso un’attenzione radicale che è prenderci cura dei nostri bisogni. Basta poco, solo una domanda: “di cosa ho bisogno in questo momento?”.

Al di là del giusto e dello sbagliato c’è un campo, è pieno di fiori ed è lì che noi aspettiamo noi stessi.