Le spinte liberalizzatrici impongono un nuovo modello della rappresentanza

Intervista a Paolo Feltrin dell’Universita’ di Trieste sulle prospettive delle professioni in Europa. Quali sono i trend di sviluppo delle professioni in Europa? Quali sono gli elementi comuni che tengono insieme i professional bodies inglesi con gli ordini italiani, tedeschi o francesi? Come si muovono i governi nazionali per disciplinare e regolamentare le attività professionali
Intervista a Paolo Feltrin dell’Universita’ di Trieste sulle prospettive delle professioni in Europa.

Quali sono i trend di sviluppo delle professioni in Europa? Quali sono gli elementi comuni che tengono insieme i professional bodies inglesi con gli ordini italiani, tedeschi o francesi? Come si muovono i governi nazionali per disciplinare e regolamentare le attività professionali riconosciute e non riconosciute? Paolo Feltrin, 58 anni, professore di scienze politiche presso l’Università degli studi di Trieste, presidente e coordinatore scientifico di Tolomeo studi e ricerche, sta conducendo una accurata indagine, commissionata da Confprofessioni, che mira ad analizzare le prospettive delle professioni e della rappresentanza in Europa. Un primo assaggio del lavoro fin qui svolto è stato illustrato durante il seminario confederale di Monteporzio Catone, che si è svolto il 2 e 3 settembre alla presenza dei presidenti delle associazioni aderenti e dell’intera dirigenza di Confprofessioni.

Domanda. In Italia si torna a parlare di liberalizzazioni. Qual è lo scenario europeo?
Risposta. In tutti i Paesi negli ultimi decenni i governi hanno messo in atto politiche di liberalizzazioni per disciplinare le professioni liberali. Gli interventi più incisivi si sono registrati nel Regno Unito e in Francia, dove le tariffe e la pubblicità sono libere e non determinate dagli ordini. Germania e Italia, invece, si sono mosse sulla spinta delle direttive europee.

D. Da dove nasce la spinta liberalizzatrice?
R. L’obiettivo principale dei governi è quello di contenere la pressione delle nuove professioni emergenti, che vorrebbero aver riconosciuto uno status giuridico “privilegiato” come quello delle professioni liberali tradizionali. Negli ultimi 20 anni in tutti i Paesi europei non c’è stata nessuna nuova professione che abbia avuto il riconoscimento come ordine professionale. C’è poi l’esigenza comune di contenere i costi dei servizi professionali tradizionali e consentire lo sviluppo di attività professionali attraverso nuove forme societarie, come le grandi società di consulenza interprofessionale in Gran Bretagna o come in Francia dove si possono distinguere ben otto forme societarie diverse.

D. Sembra di capire che il settore delle professioni in Europa sia in pieno fermento?
R. In un certo senso, sì. Negli ultimi vent’anni si è registrata una forte crescita delle professioni organizzate in ordini professionali: medici, avvocati, commercialisti. E le dimensioni sono rilevanti: in Italia e Germani in 20 anni è raddoppiato il numero degli iscritti, come in Francia e Regno Unito. Tra i motivi trainanti della crescita c’è senza dubbio la crescente complessità del sistema sociale ed economico che richiede prestazioni sempre più differenziate e specializzate.

D. Crescono anche le professioni non regolamentate?
R. Nell’ambito dei servizi erogati da nuove figure professionali il fenomeno, forse, è ancor più rilevante. Pensiamo all’evoluzione dei nuovi servizi per le imprese, la crescita dei servizi Ict e del web, ma anche l’espansione dei nuovi servizi legati alla persona e al benessere. Al di là delle dimensioni, uno degli elementi che accomuna le professioni emergenti in Europa risiede nel fatto che cercano di replicare il modello professionale ordinistico.

D. Da una parte i governi puntano a disboscare gli ordini professionali; dall’altra parte c’è una vasta area professionale che tende a ricreare modelli professionali più o meno regolamentati. Non c’è una contraddizione?
R. Sicuramente siamo di fronte a due spinte contrapposte. Dall’alto Wto, Unione europea e governi spingono per aprire tutti gli ambiti di attività alla concorrenza e questo ha portato a un rafforzamento del controllo sui monopoli, come anche sugli ordini professionali. Dal basso, invece, emerge la spinta a dotarsi di forme di rappresentanza che possano essere riconosciute dai governi e dai mercati.

D. Ma come si conciliano concorrenza e riconoscimento?
R. La concorrenza senza riconoscimento non esiste. I meccanismi concorrenziali hanno bisogno di un sigillo, un brand che possa garantire la qualità del servizio offerto. E in un mercato atomizzato come quello delle professioni l’unico brand è il riconoscimento associativo. I liberalizzatori però non hanno preso in considerazione questa forte domanda.

D. Troppe forme di rappresentanza?
R. Tutti i sistemi istituzionali e governativi chiedono pochi interlocutori, per avere rapidità decisionali. Ma anche per assicurarsi il consenso di ampie categorie. In Francia e Germania si sono consolidate le cosiddette associazioni a ombrello che si concentrano su una attività di rappresentanza verso il governo e una azione di lobbing sulle autorità di regolazione, demandando la tutela degli iscritti alle associazioni sindacali di settore. Anche in Italia tale modello comincia a far presa, pensiamo a Rete impresa Italia o alla stessa Confprofessioni.

 

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