Maggiore autonomia agli enti di previdenza dei professionisti

Due sentenze intervengono sulle pensioni dei professionisti. Per il Tar Lazio i montanti sono rivalutabili; mentre la Cassazione boccia i massimali pensionabili Con la sentenza 11081, depositata lo scorso 7 settembre, Il TAR Lazio ha annullato il provvedimento (prot. 9989 del 9/07/2014) con il quale il Ministero del Lavoro ha bocciato la delibera dell’Epap (4/2014
Due sentenze intervengono sulle pensioni dei professionisti. Per il Tar Lazio i montanti sono rivalutabili; mentre la Cassazione boccia i massimali pensionabili

Con la sentenza 11081, depositata lo scorso 7 settembre, Il TAR Lazio ha annullato il provvedimento (prot. 9989 del 9/07/2014) con il quale il Ministero del Lavoro ha bocciato la delibera dell’Epap (4/2014 del 26/02/2014) per la maggiore rivalutazione dei montanti a favore degli iscritti di una parte del rendimento maturato sulla gestione previdenziale.

 

L’Epap fa parte di quegli enti costituiti con il Dlgs 103/96 che da sempre calcolano l’assegno pensionistico con il sistema contributivo, quindi l’equilibrio finanziario è garantito ma l’assegno è più basso rispetto a quello erogato con il sistema retributivo; ma la sentenza del Tar Lazio si estende a tutti gli altri enti di previdenza.

 

L’interpretazione finora accettata secondo la quale la rivalutazione dei montanti è equivalente alla media quinquennale della variazione del PIL nominale (che per il 2014 è negativa, – 0,1927% e che per legge è stata “accordata” allo 0% -Art. 5 comma 1 del DL n.65 2015 convertito dalla legge 105/2015) è crollata anche e soprattutto con la delibera Epap bocciata dal Ministero del Lavoro e reintrodotta dal Tar Lazio. Nel febbraio 2014 l’Epap, infatti, per cercare di migliorare le future pensioni dei propri iscritti (geologi, attuari, chimici, agronomi e forestali) aveva deciso di versare nel “conto” di ogni iscritto un rendimento extra . Il calcolo fatto dalla Cassa prevedeva di considerare la differenza positiva fra il rendimento effettivo e il tasso di capitalizzazione previsto dalla legge 335/95 (riforma Dini) e cioè la media quinquennale del Pil – calcolata dall’Istat – e in caso di risultato positivo la metà di questa differenza sarebbe stata riconosciuta ai montanti individuali e l’altra metà entra in un fondo di riserva.

 

Cassazione, illegittimi i tetti per i pensionati pre 2007

 

I pensionati delle Casse di previdenza privatizzate, andati in quiescenza prima del primo gennaio 2007, hanno diritto alla riliquidazione della pensione se il loro ente, per contenere la spesa previdenziale, aveva fissato un “massimale pensionabile”. Lo hanno deciso le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza 17742, depositata lo scorso 8 settembre.

 

La Suprema Corte, infatti, a Sezioni Unite, ha stabilito che la pensione dovrà essere riliquidata nella misura dovuta con il metodo più conveniente, quello del rigoroso ‘pro rata’ in vigore prima della ‘riforma Dini’. La questione dell’applicazione del criterio pro rata in maniera «rigorosa» o attenuata – ossia che tenga conto delle esigenze di tenuta del sistema e della solidarietà con le future generazioni piuttosto che dei diritti quesiti – è stata oggetto di altalenanti verdetti della Suprema Corte che, con la sentenza 17742, molto attesa dalle Casse, è intervenuta in una materia contrassegnata dalla «incertezza della giurisprudenza» e da «dubbi interpretativi».

 

Con questa decisione, è stato respinto il ricorso della Cassa dei ragionieri e dei periti commerciali contro la sentenza con la quale la Corte di Appello di Torino, nel 2012, aveva affermato il diritto di un ragioniere andato in pensione di vecchiaia dal 2001 «alla riliquidazione della prestazione, a decorrere dal momento della maturazione della pensione». La Corte di Appello, dando ragione al ragioniere pensionato, ‘promotore’ di questa battaglia giudiziaria, aveva dichiarato «illegittima» la fissazione del massimale pensionistico deliberato dalla Cassa nel 1997, dopo la riforma ‘Dini’ che ha introdotto il sistema contributivo. E per ottenere gli importi ‘tagliati’ dai massimali, la Suprema Corte, con una seconda ‘cattiva’ notizia per le Casse, afferma che la prescrizione è decennale e non quinquennale.