Una forte rappresentanza per tutelare i professionisti

Il Rapporto Ires-Cgil sui professionisti conferma le priorita’ di intervento di Confprofessioni Compensi equi e, soprattutto, tutele sociali in caso di malattia, infortunio, maternità, disoccupazione, insieme all’accesso al credito, alla regolazione dei tempi di pagamento e alla formazione. Queste le principali richieste dei professionisti italiani, che rivendicano una rappresentanza più forte e autorevole in grado di
Il Rapporto Ires-Cgil sui professionisti conferma le priorita’ di intervento di Confprofessioni

Compensi equi e, soprattutto, tutele sociali in caso di malattia, infortunio, maternità, disoccupazione, insieme all’accesso al credito, alla regolazione dei tempi di pagamento e alla formazione. Queste le principali richieste dei professionisti italiani, che rivendicano una rappresentanza più forte e autorevole in grado di tutelare i propri interessi attraverso la contrattazione collettiva. Il quadro del mercato del lavoro per avvocati, commercialisti, ingegneri, medici, consulenti del lavoro, giornalisti e pubblicitari è stato delineato dal rapporto dell’Ires, l’Istituto ricerche economiche e sociali della Cgil, dal titolo “Professionisti, a quali condizioni?”, che conferma le priorità di intervento delineate da Confprofessioni per sostenere e sviluppare il comparto delle professioni intellettuali. “I dati della ricerca ci danno ragione” commenta il presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella. “Siamo stati i primi a intercettare le difficoltà dei professionisti e a fornire risposte concrete al bisogno di maggiori tutele sociali e alla domanda di accesso al credito agevolato (grazie alla partnership realizzata con Unicredit). E adesso stiamo lavorando per costruire intorno a Confprofessioni un unico organismo di rappresentanza forte e autorevole. Non possiamo più perdere tempo: sono i professionisti a chiedercelo”.
Secondo la ricerca Ires, infatti, la necessità di tutela e di riconoscimento dei 5 milioni di professionisti autonomi e dipendenti si presenta come una drammatica urgenza se si considera che circa il 63,7% dei primi sarebbe disponibile ad andare all’estero, mentre il 68,7% dei secondi sarebbe addirittura disposto a cambiare professione pur di migliorare le proprie condizioni di lavoro.
I dati, basati su 4 mila interviste raccolte in rete tra ottobre 2010 e gennaio 2011, mostrano un esercito di professionisti concentrati soprattutto nelle grandi città del Nord (il 53,9), con un’età media di 42 anni e titoli di studio molto elevati (il 79,6% possiede infatti almeno la laurea). Tuttavia, nell’arco degli ultimi cinque anni il lavoro si è dimostrato altamente discontinuo per il 61,4% dei professionisti che ha alternato l’attività a periodi di disoccupazione anche lunghi. È la difficoltà nel mantenimento del reddito a spiegare l’elevata propensione a versare una quota contributiva pur di accedere a un’indennità di disoccupazione (ben il 59%). Per quanto riguarda il tema previdenziale, poi, se si escludono coloro che versano i contributi per la pensione alle casse professionali, si rileva che per la metà dei professionisti il futuro previdenziale è contrassegnato da un elevato grado di incertezza. In media, nel 2009, per il 44,6% degli intervistati il reddito netto annuale è risultato inferiore ai 15 mila euro e per il 23% non ha superato neppure i 10 mila. Oltre alla discontinuità lavorativa e alla scarsezza dei compensi, anche l’attesa del pagamento è una difficoltà ampiamente riscontrata, ben il 60,1% aspetta spesso più di 60 giorni dopo l’emissione della fattura per ricevere il pagamento. E per il 71,2% diventa pertanto difficile avere accesso al credito.
Se da un lato, autonomi e dipendenti condividono gravi criticità sul piano del welfare e delle tutele, a cominciare dall’assistenza sanitaria alla pensione integrativa fino all’assenza di ammortizzatori sociali (Il 68,5% degli intervistati si auto definisce appunto come “un libero professionista con scarse tutele”), dall’altro, si attestano invece su posizioni differenti. La maggioranza dei professionisti autonomi ritiene infatti di avere una maggiore autonomia (nell’80,4% dei casi) rispetto a chi svolge la medesima professione come dipendente e riscontra maggiori vantaggi rispetto al lavoro dipendente nei margini di flessibilità dell’orario di lavoro e nelle opportunità di crescita (per il 64,7%). Tuttavia, sembra che gli svantaggi siano comunque significativi, per cui una quota rilevante di lavoratori autonomi dichiara di avere una peggiore organizzazione del lavoro (44,1%) e minori opportunità di aggiornamento (40,6%). Per questo solo il 46,6% degli autonomi ritiene di avere un maggiore riconoscimento professionale rispetto ai dipendenti. Dal punto di vista dei redditi, nel confronto con il lavoro dipendente, gli autonomi vedono il vantaggio di potere detrarre alcuni costi (74,5%) a cui però si accompagna il peso di avere più oneri fiscali (85,6%). Analogamente emerge l’insoddisfazione dei professionisti dipendenti. La maggior parte si dice infatti scontenta delle prospettive di carriera (l’84,1%), del trattamento economico (80,3%), delle opportunità di conciliare la vita lavorativa con quella familiare (62,8%), del riconoscimento delle competenze (74,7%) e delle opportunità per accrescerle (60%). Una buona fetta (24,1%), infine, ritiene che il proprio lavoro non sia riconosciuto adeguatamente sul piano professionale.
 

9773