FIMMG: rabbia per il “no” ai ristori alle famiglie dei medici morti di Covid

Il presidente Scotti: «Uno schiaffo alla memoria dei colleghi che si sono sacrificati mettendo il loro dovere davanti alle loro stesse famiglie».

«Il no al subemendamento presentato dalla senatrice Maria Cristina Cantù è uno schiaffo alla memoria dei medici, molti dei quali della medicina generale, che hanno sacrificato le proprie vite pur di curare i propri assistiti in un momento drammatico». Silvestro Scotti, segretario generale FIMMG, stigmatizza con rabbia e amarezza quanto accaduto al Senato durante la Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 dicembre 2021, n. 221, recante “proroga dello stato di emergenza nazionale e ulteriori misure per il contenimento della diffusione dell’epidemia da Covid-19 (2488). Il subemendamento 2.1500/32, dopo aver incassato il parere contrario della Commissione Bilancio ai sensi dell’articolo 81 della Costituzione, è stato, durante la discussione in Aula, ritirato e riformulato come Ordine del Giorno. Una bocciatura che arriva per la seconda volta, visto che lo stesso emendamento era stato presentato già durante la discussione sulla Legge di Bilancio votata a fine anno.

«Fa male – prosegue Scotti – constatare che una misura così importante sia stata bocciata per un mero e direi “misero” calcolo economico. Anche se oggi il Covid fa meno paura, dovremmo ricordare che i medici caduti nel corso della prima ondata sono gli stessi che tutti osannavano come eroi. Un appellativo che nessun collega ha mai inseguito né voluto, ma che ora suona quasi come una beffa per i figli, le mogli e i mariti che non potranno più abbracciare i loro cari». In tutto sono 369 le lapidi che ricordano con onore il coraggio di quei medici che a mani nude e senza alcuna protezione non si sono mai sottratti al proprio giuramento. Medici che si sono ammalati e sono morti, la metà dei quali appartengono alla medicina generale. «A queste famiglie – ricorda il segretario generale FIMMG – la proposta avanzata dalla Senatrice Maria Cristina Cantù cercava di portare un minimo di conforto e di sostegno, un segno materiale dell’attenzione dello Stato, ovvero di tutti noi cittadini, a quel sacrificio che ha sequele ancora oggi, ovviamente, in tutte quelle famiglie. Non si dovrebbe dimenticare che parliamo di famiglie che oltre la perdita umana, sono rimaste prive dell’unica fonte di sostentamento. E sono famiglie alle quali non spettano solo indennizzi materiali, ma anche attenzione per la perdita di chance che hanno subito mogli e figli. Riteniamo pertanto che chi di dovere debba allargare le sue vedute, rifare i conti e trovare le risorse necessarie per un indennizzo, anche solo per equiparare queste famiglie, nei diritti, a quelle di chiunque altro sia deceduto al servizio delle Stato, per terrorismo o per mafia. Perché la violenza di tutti questi eventi non può che avere eguaglianza nella risposta di uno Stato che si voglia definire civile».