di Elisa Mulone, Psicologa Psicoterapeuta past President PLP
La comunicazione è un processo complesso che si compone di vari livelli. Nel tempo vari studiosi hanno approfondito e analizzato il tema da punti di vista diversi. Studiosi come Shannon si sono dedicati alla comunicazione come scambio di informazioni (teoria matematica della comunicazione), altri come Pierce, De Saussure e Barthes hanno avviato studi sulla comunicazione come processo di significazione, ossia come produzione di segni che abbiano un significato (Semiotica), altri ancora come Austin e Grice si sono dedicati alla comunicazione dal punto di vista pragmatico, cioè sull’uso dei significati.
La pragmatica è, appunto, la scienza che studia l’uso dei significati, ossia i modi in cui essi sono impiegati dai comunicanti nelle diverse circostanze. In questo senso la comunicazione è azione, è fare.
A questo proposito soffermiamoci sulle teorizzazioni di Austin. Egli propone la teoria degli atti linguistici secondo cui “dire qualcosa è anche fare sempre qualcosa”. Austin individua 3 tipi di azioni che compiamo quando parliamo:
- atti locutori, sono atti “di” dire qualcosa, azioni che compiamo per il fatto stesso di parlare, ad esempio emettiamo suoni;
- atti illocutori, sono atti “nel” dire qualcosa che corrispondono alle intenzioni comunicative di chi parla e si possono raggruppare in assertivi, direttivi, commissivi, espressivi, esercitivi e verdettivi.
- atti perlocutori, sono atti “con” il dire qualcosa che hanno a che fare con gli effetti che la nostra comunicazione ha su chi ci ascolta (es. lusingare o far sentire in colpa)
Per chiarire meglio possiamo dire che i tre atti linguistici costituiscono ciò che diciamo, quello che facciamo mentre diciamo qualcosa e ciò che vogliamo ottenere dicendo qualcosa.
Come Austin e Searls ci ricordano è importante tenere presente la forza illocutoria dell’atto linguistico e gli effetti perlocutori sull’interlocutore. La forza illocutoria è data dai verbi, dalla punteggiatura, dall’ordine delle parole ecc. Facciamo un esempio.
Se dico:
“Stefano è un bambino disubbidiente ma bellissimo”
oppure
“Stefano è un bambino bellissimo ma disubbidiente”
Cosa cambia?
Apparentemente nulla. I contenuti sono i medesimi, gli aggettivi non cambiano ma l’articolazione della frase pone l’attenzione su un aspetto o sull’altro. Nel primo caso il fuoco comunicativo è posto sulla caratteristica positiva (è un bambino bellissimo), nel secondo caso il fuoco comunicativo è posto sull’essere disubbidiente, mettendo in secondo piano la caratteristica positiva.
La comunicazione è uno strumento relazionale estremamente complesso. Non sottovalutiamo mai il peso di quello che diciamo e di come lo diciamo perché all’altro arriva più del semplice contenuto. Esserne consapevoli ci può essere di aiuto per non cadere in scambi comunicativi disfunzionali.