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La disabilità è negli occhi di chi guarda

Nuovo appuntamento con la rubrica Spazio Psicologico in collaborazione con l’associazione Psicologi Liberi Professionisti

di Miriam Caridi, Psicologa e Psicoterapeuta, Tesoriera nazionale PLP e Presidente regionale PLP Calabria

La società moderna è così ossessionata dalla perfezione che spesso relega le persone con disabilità ai margini, ignorandone le potenzialità e la ricchezza. La disabilità è ancora presente nell’immaginario collettivo come un concetto strettamente collegato a una visione negativa, poiché crea scompiglio, non “aderisce” per le sue specifiche caratteristiche con lo stereotipo di “persona sana o normale”. Ma la verità è che ciò che è diverso da noi spaventa, perché non lo conosciamo abbastanza, o perché non siamo capaci di gestirlo o controllarlo.

L’idea che bisogni escludere chiunque manifesti delle differenze rispetto al modello proposto come normalità è il prodotto culturale di un processo cognitivo di semplificazione, della riduzione in categorie con cui mettiamo ordine nel caos che altrimenti sarebbe la realtà.

La stigmatizzazione dunque diventa l’esito più scontato: “Il più grande impedimento alla piena partecipazione delle persone disabili alla società non sono i difetti fisici, intellettivi, ma il tessuto di pregiudizi, paure e incomprensioni che la società attribuisce loro”. [Il silenzio del corpo, Murphy R., Erickson 2017:136].

Ma è pur vero che chiunque, in qualsiasi momento della vita, si è trovato o potrà trovarsi di fronte ad una situazione nuova, insolita, di diversità: un incidente, una malattia o l’invecchiamento stesso possono trasformarsi in quelle difficoltà che i soggetti con disabilità vivono continuamente. Riuscire ad affrontare questi momenti con maggiore naturalezza e semplicità pone però l’accento su un altro aspetto cruciale ovvero l’importanza attribuita alla relazione tra la salute del singolo e il contesto circostante: quante volte è proprio l’ambiente non accessibile a limitarci nel compimento di un’azione, ostacolando la nostra autonomia?

E allora essere inclusivi rappresenta la vera sfida della società, oltre che una responsabilità condivisa: abbattere le barriere architettoniche, permettere un’indipendenza negli spostamenti, eliminare qualunque forma di discriminazione, garantire una partecipazione dignitosa e soddisfacente alla vita sociale, lavorativa, economica e culturale diventa questione di tutti.

Non bisogna perdere di vista il fatto che, ogni essere umano, nella propria unicità, porta con sé un suo “mondo”, una risorsa da cui attingere, in termini di crescita e arricchimento personali. Se riuscissimo per un attimo a mettere da parte i filtri mediatici, e guardassimo all’essenza, scopriremmo di avere davanti soltanto persone, non diagnosi o etichette. Se avessimo il coraggio di entrare in contatto con la disabilità, facendo esperienza diretta e abituandoci a vederla quotidianamente, scopriremmo che non si tratta affatto di un altro mondo. Solo attraverso la conoscenza e l’accettazione incondizionata dell’altro esiste la possibilità di confronto e di nuove prospettive.

Partiamo dal linguaggio, le parole mostrano la cultura, il grado di civiltà, il modo di pensare. Cambiando il linguaggio possiamo arrivare a rompere alcuni stereotipi e a minimizzare le differenze, o meglio, a farle convivere.

La disabilità ci costringe a riflettere sulla nostra umanità: ci ricorda che siamo tutti fragili, che la vita può cambiare in un istante, e che dobbiamo essere pronti ad accogliere e sostenere chi è diverso da noi, facendo tesoro della bellezza che crea le sfumature. Non restiamo a guardare. Il vero limite vive solo nella nostra mente, e superato quello, c’è posto per tutti.