Trascorriamo la maggior parte della nostra vita “essendo giovani” o sentendoci tali, finché, finiamo per fare di tutto per “sembrare giovani”. Desiderio, questo, legato al fatto che ci fa sentire di mantenere quel valore che abbiamo conquistato con tanta fatica. Ad un certo punto, però, arrivano i primi segni della vecchiaia. É vero che cerchiamo di edulcorare il tutto con le parole: anziano, terza età e così via. Grande potenza quella delle parole che ci permettono di alleggerire la realtà: la memoria sempre più fragile, la forza fisica che a tratti ci abbandona, le malattie, sia quelle che abbiamo e ancora di più quelle che temiamo, i lutti.
La vecchiaia rischia di essere un vero smacco.
Possiamo negare la situazione oppure vederla come opportunità di cambiamento, trasformando le nascenti difficoltà in nuove risorse.
Una storia di vita
In questa direzione ricordiamo una bellissima pagina di Daniel Pennac (La fata carabina, 1987) in cui il protagonista, il medico Benjamin, assiste alla morte di nonno Verdun ed esclama “È la prima volta che vedo un paziente morire con l’avvenire davanti a sé”. Questo accade per la vicinanza che Thérèse, sorella di Benjamin, presterà a Verdun. Certo assistere una persona in punto di morte è un atto umano, ma Thérèse fa altro, collega in un unico percorso il passato con il futuro dicendo che ogni istante fa pienamente parte di questa storia (anche l’istante della morte) e va vissuto mettendo in gioco tutte le risorse delle persone, anche quelle fin lì trascurate o considerate poco rilevanti.
La vecchiaia come opportunità
Per pensare alla vecchiaia come opportunità è necessario valorizzare i punti di forza che abbiamo maturato nel corso della nostra vita. Altro elemento fondamentale è dato dal significato che la società che ci circonda attribuisce alla vecchiaia. Se troveremo resistenza e negazione sarà ben difficile sentirci capaci di vivere la vecchiaia come parte della nostra vita e non come sofferenza e vergogna.
Costruire un presente condiviso
Per aiutare ognuno di noi a vivere positivamente e come opportunità questa fase di vita possiamo utilizzare la metafora delle bambole di Manciaux (2005). Manciaux immagina la caduta a terra di tre bambole e i danni che subiranno: una bambola è di vetro, una di legno e una di acciaio. Ebbene il relativo danno non sarà determinato solo dalla loro struttura, ma anche dalla superfice sulla quale cadranno. Se immaginiamo un soffice tappeto capace di accogliere la sofferenza dell’impatto con i limiti della vecchiaia, un tappeto costituito dalla presenza di figure di riferimento, provenienti dalla famiglia, dal mondo sociale o culturale, capaci di fornire relazioni di aiuto efficaci e fondamentali, l’esito dell’impatto sarà sicuramente migliore. La metafora del suolo mostra chiaramente l’importanza delle relazioni e del contesto sociale come lavoro di protezione. In questo modo potremmo superare l’idea di essere destinati a rimanere irrimediabilmente feriti dopo momenti difficili, come nel nostro caso la vecchiaia. Sono le relazioni significative e le persone che incontriamo a permettere di trasformare le difficoltà in opportunità grazie all’azione di risorse personali interne ed esterne.
Silver Economy
In quest’ottica si inseriscono gli studi dell’Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate 2020 sulla Silver Economy, che viene definita come quel “complesso di attività economiche rivolte specificamente alla popolazione con 65 anni o più che cessano, parzialmente o totalmente, l’attività lavorativa, passando da uno stile di vita attivo a uno stile di vita differentemente attivo.
“L’Osservatorio analizza dinamiche e possibili conseguenze del progressivo invecchiamento della popolazione in ottica sociale, economica e di sostenibilità, partendo dal presupposto che la sfida posta dai trend demografici non deve tradursi necessariamente in un costo, ma può al contrario rivelarsi un’ottima opportunità di investimento per il Paese”. In questo senso, i Silver che rappresentano il 23% della popolazione italiana pari a circa 14 milioni di persone, di cui oltre la metà donne, che diventeranno oltre 16 milioni nel 2030, si traducono in una risorsa per il nostro Paese, una “nuova grande economia” sulla quale investire per creare quel tappeto morbido della metafora di Marciaux.