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Lettura digitale o lettura tradizionale?

Nuovo appuntamento con la rubrica Spazio Psicologico in collaborazione con l’associazione Psicologi Liberi Professionisti

di Antonio Zuliani, psicologo psicoterapeuta, membro del CEN PLP

 

Noi uomini non abbiamo sviluppato la capacità di leggere attraverso una via genetica come quella di vedere o di sentire. Da un certo momento in poi dell’evoluzione abbiamo capito che era necessario codificare le informazioni: prima quelle più semplici, come il numero di animali di un gregge, poi quelle sempre più complesse come, appunto, quelle del leggere.

Molte migliaia di anni fa l’esperienza vissuta ha imposto al nostro cervello la necessità di predisporre un nuovo circuito neuronale che sostenesse l’alfabetizzazione.

Di passo in passo questa linea evolutiva ha portato a processi mentali sempre più elaborati e funzionali come l’interiorizzazione delle conoscenze, il ragionamento e la capacità deduttiva. Non solo, ma aver sviluppato la consapevolezza che esisteva un punto di vista diverso dal nostro può essere considerata l’origine dell’empatia.

A fronte di questa constatazione viene naturale porsi la domanda se il sostanziale cambio nelle abitudini nella lettura che si sta rapidamente diffondendo possa avere un’incidenza su questo processo. Sempre più le persone si affidano per la lettura a strumenti nuovi, quali iPad o smartphone; sempre più le persone passano il tempo a vedere video o a intrattenersi con i videogiochi.

La prima sostanziale differenza tra un testo scritto e un testo digitale consiste nella sempre più diffusa impazienza nell’affrontare testi lunghi, difficili e densi di significato: una sorta di impazienza cognitiva. Questo sembra accompagnassi a una riduzione nella capacità di comprendere la complessità del pensiero legato a testi impegnativi come molti risultati dei test invalsi sembrano dimostrare. In effetti sta modificandosi la stessa modalità con la quale si affrontano i testi sempre più con la tendenza a scorrerli piuttosto che a leggerli. Operando in questo modo il nostro cervello riduce il tempo dedicato ai processi di lettura profonda, non riuscendo più a cogliere la complessità degli stessi, ma anche i sentimenti espressi dagli altri, la stessa bellezza. In sostanza si rischia di arrivare sempre più a un processo di adesione al testo semplificato piuttosto che alla formulazione di un pensiero autonomo.

Un ulteriore effetto dell’utilizzo di questi nuovi strumenti di lettura lo troviamo nella riduzione del tempo dedicato a tornare sulle cose lette, e a riesaminarle; una modalità efficace per verificare e valutare la propria comprensione del testo stesso. Possiamo dire che la lettura sostanzialmente digitale alla quale ci stiamo affidando rischia di creare una sorta di danno collaterale per il quale le informazioni divengono sempre meno controllate e analizzate da ogni singola persona. Occorre prestare attenzione al peso di questi processi perché nel tempo, specialmente pensando alle nuove generazioni, si rischia di ridurre alcune capacità fondamentali.

D’altra parte, sarebbe un grave errore fermare questa innovazione per cui occorre pensare a una sorta di cervello bi-alfabetizzato, capace di forme di pensiero profonde abbinando i mezzi digitali a quelli tradizionali. Questo anche per garantire un aspetto fondamentale della democrazia ovvero la capacità di assumere e di considerare come naturali la presenza di punti di vista diversi dal nostro.