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Quando la morte diventa statistica

Nuovo appuntamento con la rubrica Spazio Psicologico in collaborazione con l'associazione Psicologi Liberi Professionisti

Antonio Zuliani
Psicologo e Psicoterapeuta membro del CEN PLP

Da più di due anni oramai nel lessico quotidiano dei mezzi in informazione è comparso un numero: quello dei morti di quel giorno. Un numero preciso per i morti da covid, un numero più vago, ma ancora più numeroso per i morti nella guerra in Ucraina.

Ecco che la morte, da esperienza soggettiva, è andata trasformandosi in un numero. Da tragedia personale a statistica.

Non si tratta di un fatto nuovo, ma sembra giusto ricordare la differenza che tutti viviamo tra la morte di una persona che conosciamo, alla quale siamo anche legati da una qualche forma di affetto, e la morte di un estraneo. E tra la morte di una sola persona, per quanto estranea, e quella di tante persone. Una sofferenza è una sorta di non senso inspiegabile che esorcizziamo trasferendo il tutto sul piano statistico.

Non vi sono prove storiche che confermino che Stalin, parlando dei milioni di morti provocati dalla carestia in Ucraina chiamata Holodomor (come la storia ritorna sui suoi passi!) tra il 1932 e il 1933, abbia detto “se un solo uomo muore di fame è una tragedia. Se milioni muoiono, sono solo statistiche”. Manca la prova storica di questa frase, ma tant’è: l’espressione è efficace.

Guardare negli occhi un uomo che sta morendo è un’esperienza straziante, che lascia un segno indelebile. Ecco perché abbiamo edulcorato questa sofferenza riducendo quell’uomo a una categoria. Così le morti in guerra, le morti dei migranti nel Mediterraneo o nella “rotta dei Balcani”.

Ma, oggi, queste morti ci sono sbattute in faccia, sia perché la guerra è alle nostre porte e le storie di tante persone che muoiono ci raggiungono, sia perché stiamo iniziando a ospitare tante donne e bambini che si portano dietro queste morti. Le morti dei loro mariti e dei loro padri che ci aiuteranno a sentire che dentro la statistica ci sono tante, troppe sofferenze. Difficile da affrontare, perché farlo ci mette a contatto con il pensiero della nostra morte: quella che ci angoscia veramente. Difficile veramente: possibile solo, forse, in un clima di cooperazione e condivisione.