Il professionista italiano con vocazione internazionale

Di Lelio Cacciapaglia e Maurizio Tozzi

Introduzione

Nei primi numeri del 2023 della  rivista abbiamo tracciato le problematiche delle imprese e dei professionisti italiani che si avvalgono delle prestazioni di lavoratori autonomi non fiscalmente residenti nel nostro paese, introducendo il concetto di professionista con o senza base fissa nel nostro paese.  Proponiamo ora l’analisi inversa, vale a dire quella riferita al professionista italiano che effettua prestazioni all’estero a soggetti ivi residenti. I concetti sono ovviamente uguali ma cambia la prospettiva.

Dunque, come deve comportarsi il lavoratore autonomo, ad esempio un commercialista, un avvocato, un medico o anche uno sportivo o un lavoratore dello spettacolo che presta la propria attività all’estero?

Cominciamo con il dire che se per il lavoratore autonomo l’articolo 14 dell’OCSE è stato abrogato a decorrere dal 2000 pur restano operativo nell’ambito delle singole convenzioni contro le doppie imposizioni; l’articolo 17 che disciplina le prestazioni artistiche e sportive è invece sopravvissuto.

Ebbene, le due tipologie di prestazioni (professionali e artistico/sportive) si differenziano tra loro ma presentano anche punti di contatto dal momento che le imposte si pagano (anche) nel paese dove la prestazione professionale o artistica è eseguita, e non solo nel paese di residenza. E’, poi evidente che nella pratica è meno probabile che gli artisti e gli sportivi abbiano una base fissa all’estero (ma non impossibile; cfr risposta a interpello numero 53/2023 ove si dà atto che un pittore ha una base fissa all’estero), mentre hanno una marcata attività caratterizzata da trasferte estere senza base fissa (s’immagini i cantanti i musicisti o gli attori di teatro che vanno in tour o gli sportivi che partecipano a competizioni sportive internazionali).

 

 

Le norme interne di riferimento

Il punto di partenza resta l’articolo 2, comma 2, del TUIR, il quale stabilisce che si considerano residenti “le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile”. In presenza anche di solo uno dei tre elementi, il nostro lavoratore autonomo “appartiene” fiscalmente all’Italia e in conseguenza dell’articolo 3, comma 1, del Tuir deve tassare in Italia i redditi ovunque prodotti nel mondo in base al principio “wordwide taxation”. Ciò implica che se il lavoratore autonomo svolge all’estero una prestazione professionale per un committente estero, il relativo compenso al momento dell’incasso deve partecipare alla formazione del reddito da dichiarare nel quadro RE del modello Redditi. Nulla cambia se il lavoratore autonomo è un soggetto forfetario al momento della percezione del compenso detto importo concorrerà alla tassazione forfetaria nell’ambito del quadro LM del Modello redditi, fascicolo 3.

 

Il lavoratore autonomo fiscalmente residente in Italia

Dunque, l’articolo 23, comma 1, lettera d), del Tuir stabilisce che si considerano prodotti nel territorio dello Stato i redditi di lavoro autonomo derivanti da attività esercitate nel nostro territorio. In base a ciò se il nostro professionista dovesse svolgere la propria attività all’estero non dovrebbe scontare alcuna tassazione su detti redditi; senonchè tale conclusione trascura che l’articolo 3, comma 1 del Tuir stabilisce che “L’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato per i residenti da tutti i redditi posseduti … e per i non residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato.”. Quindi, in base al “world wide taxation”, in prima battuta la regola italiana, come per la maggior parte dei paesi esteri, è che il soggetto fiscalmente residente in Italia paga in Italia sui redditi ovunque prodotti nel mondo.

Appurato ciò, il problema è che, non solo in Italia ma anche negli altri paesi, vige la regola secondo la quale i soggetti fiscalmente non residenti devono tassare nel paese i redditi ivi prodotti. Quindi, il nostro lavoratore autonomo o artista o sportivo, che si reca all’estero per fornire una consulenza o per esibirsi, deve pagare le tasse (anche) in detto paese. Va da sé che in questo modo paga due volte: una volta in Italia e una volta all’estero.

 

La mitigazione della doppia imposizione – il credito per le imposte estere

Senonché, questa doppia imposizione giuridica trova un’attenuazione attraverso l’applicazione del credito per imposte pagate all’estero previsto normalmente dalla Convenzioni contro le doppie imposizioni all’articolo 24 (esempio, Francia, Germania) talvolta 23 (esempio, Giappone, USA). Occorre di volta in volta un’analisi della convenzione tra Italia e paese estero ove il lavoratore autonomo italiano ha svolto la propria attività.

In ambito nazionale è l’articolo 165 del Tuir che disciplina le modalità di recupero dell’imposta estera, mediante detrazione dall’Irpef. In particolare, l’imposta estera è scomputabile dall’Irpef in misura non superiore all’Irpef che il reddito estero genera nell’ambito della dichiarazione dei redditi italiana.

Vige, per lo scomputo dell’imposta estera, il principio dell’imposta estera effettivamente pagata, seppure con un’ancora di salvezza presente nel medesimo articolo 165 del Tuir. Ed infatti, il comma 4 stabilisce in primis, che “La detrazione deve essere calcolata nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta cui appartiene il reddito prodotto all’estero al quale si riferisce l’imposta, a condizione che il pagamento a titolo definitivo avvenga prima della sua presentazione. Nel caso in cui il pagamento a titolo definitivo avvenga successivamente si applica quanto previsto dal comma 7.

Può capitare, ad esempio che:

  • un professionista italiano abbia svolto un’attività in Francia.
  • In detto paese l’imposta dell’anno X è versata (seconda rata di saldo) a ottobre dell’anno X+1.
  • In questo caso alla scadenza del termine previsto per il versamento dell’Irpef in Italia, vale a dire il 30 giugno dell’anno X+1, il dato estero non è disponibile in quanto l’imposta estera (per quanto determinata) non è stata ancora interamente pagata.
  • Senonché, dal momento che la dichiarazione dei redditi italiana si trasmette entro il 30 novembre, il professionista può rischiare di basarsi, per lo scomputo del credito, sull’imposta di competenza nel presupposto che questa verrà comunque pagata prima della trasmissione del modello di dichiarazione dei redditi.

 

Diversamente, il comma 7 stabilisce che se l’Irpef per il periodo d’imposta nel quale il reddito estero ha concorso a formare l’imponibile à stata già liquidata (senza poter scomputare l’imposta estera in quanto non pagata), si procede a nuova liquidazione e la detrazione si opera dall’Irpef dovuta per il periodo d’imposta cui si riferisce la dichiarazione nella quale è stata richiesta.

Si noti che la norma fa riferimento all’imposta sul reddito delle persone fisiche il che significa che nel caso in cui il professionista sia, ad esempio, un forfetario, come in tutti i casi di redditi tassati con imposizione sostitutiva, il credito per le imposte pagate all’estero non spetta. L’imposta sostitutiva, infatti, non è disciplinata da alcune convenzione contro le doppie imposizioni (basta controllare l’articolo 2 delle Convenzioni dove sono elencate le “Imposte considerate”. ).

 

La prestazione resa dal lavoratore autonomo in Italia ad un soggetto non residente

Occorre puntualizzare per non cadere in equivoci: se un medico esegue un intervento chirurgico in una clinica in Italia ed il paziente è non residente nel nostro paese, la relativa parcella emessa al suddetto paziente, una volta incassata concorre a formare il reddito del professionista solo in Italia. Stesso dicavi del sotferista residente in Italia che struttura una piattaforma informatica per conto di un committente americano dai propri uffici ubicati a Roma. La fattura emessa sarà tassata solo in Italia.

E ciò in quanto l’attività è stata svolta solo in Italia.

Si potrebbe disquisire laddove il softerista si sia recato qualche volta negli Usa per delle riunioni di mero coordinamento o del commercialista italiano abbia assistito una impresa propria cliente per una trattativa commerciale recandosi a Dubai. Resta il fatto che si tratta di casi abbastanza marginali che, volendo proprio fare i sofisti, pongono il problema concettuale di quantificare la quota parte di prestazione estera da tassare all’estero. Senonchè, senza con questo voler istigare alla disobbedienza fiscale internazionale, sembra piuttosto remota l’ipotesi che gli USA o gli Emirates possano rivendicare la imposizione fiscale su una quota parte (di impossibile quantificazione) della parcella/fattura emessa dal nostro lavoratore autonomo italiano. Anche l’ipotesi (oggettivamente rara) del medico che dopo l’operazione si è recato in Romania per una visita di controllo del proprio paziente, attività di mero contorno rispetto alla principale operazione chirurgica, ancorché trattasi di attività indubitabilmente svolta all’estero, non sembra possa giustificare una rogatoria internazionale con richiesta da parte dell’amministrazione finanziaria Rumena all’Agenzia delle entrate di notifica di accertamento al nostro povero medico che si è anche sobbarcato l’incomodo di recarsi all’estero.

D’altronde se si trattasse di un medico che viene in Italia per fare una visita di controllo al un nostro paziente è sostanzialmente certo che l’Agenzia delle entrate non pretenderebbe alcuna tassazione posto che, con la Risoluzione n. 354 del 16 settembre 2020, ha chiarito, seppure con riferimento a due attori di teatro stranieri, scritturati da una fondazione italiana per una tournee di due giorni in Germania, i quali avevano effettuato alcune prove in Italia, che non dovevano essere assoggettati alla ritenuta a titolo d’imposta del 30% dal momento che le prove in Italia non erano state separatamente retribuite dalla Fondazione e le stesse non potevano, quindi, considerarsi autonome rispetto alla prestazione artistica oggetto del contratto. Da qui l’agenzia delle entrate ha ritenuto che le prestazioni artistiche fossero da considerarsi eseguite interamente all’estero. Pertanto, in ragione dell’articolo 23, comma 1, lettera d), del Tuir, nonché dell’articolo 17, paragrafo 1, del modello di Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni, la Fondazione, previa presentazione, da parte dell’artista, di apposita domanda corredata della certificazione di residenza fiscale all’estero ­ rilasciata dalla competente autorità fiscale estera ­e dalla documentazione comprovante l’effettivo esercizio dell’attività lavorativa all’estero (cfr. risoluzione 3 febbraio 1977, n. 762), è stata autorizzata a non operare la ritenuta a titolo d’imposta ai fini Irpef, di cui all’articolo 25, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, sul compenso per le prestazioni artistiche eseguite all’estero. Ci piace pensare che il nostro medico che è andato in trasferta all’stero per una visita di controllo venga trattato dal Fisco estero nello stesso modo in cui l’Agenzia ha trattato i due artisti tedeschi.

 

La prestazione resa dal lavoratore autonomo all’estero ad un soggetto non residente

Dunque, il lavoratore autonomo residente fiscalmente in Italia che svolge attività all’estero deve tassare i relativi redditi oltre che in Italia anche nel paese estero.

Senonché, come già illustrato nel precedente contributo, occorre prendere di volta in volta visione della eventuale (non è detto che esista) Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e paese estero. L’articolo OCSE di riferimento è il (soppresso) articolo 14 del Modello che è da considerarsi comunque il punto di riferimento per l’analisi critica anche tenuto conto della nota a margine richiesta dall’ Italia “88. L’Italia, il Portogallo e la Turchia si riservano il diritto di tassare le persone che operano in modo indipendente servizi personali in un articolo separato che corrisponde all’articolo 14 così com’era prima della sua eliminazione nel 2000.”.

La maggior parte delle Convenzione stipulate dall’Italia, prevede, ancora oggi, all’articolo 14 rubricato “Professioni indipendenti” quanto segue.

 

Convenzione contro le doppie imposizioni – Articolo 14 – Professioni indipendenti
1. I redditi che una persona fisica residente di uno Stato contraente ritrae dalla prestazione di servizi personali a carattere indipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tali servizi non siano prestati nell’altro Stato contraente e la persona fisica disponga abitualmente in detto altro Stato di una base fissa per l’esercizio delle sue attività, ma in tal caso i redditi sono imponibili in detto altro Stato unicamente nella misura in cui sono attribuibili a detta base fissa.

2. L’espressione «servizi personali a carattere indipendente» comprende, pur senza esservi limitata, le attività di carattere scientifico, letterario, artistico, educativo e pedagogico, nonché le attività indipendenti dei medici, avvocati, ingegneri, architetti, dentisti e contabili.

 

Come già illustrato la norma Convenzionale prevale sulla norma interna e ad essa occorre conformarsi. Dunque, se in nostro professionista dispone di una “base fissa” nel paese estero dove presta la propria attività allora, se esiste una Convenzione e se esiste un articolo 14 detto lavoratore autonomo deve certamente pagare le imposte previste dal detto paese sull’attività ivi svolta. Abbiamo già fatto presente nello corso numero della rivista che a nostro avviso, l’utilizzo saltuario e del tutto occasionale di locali all’estero non possa costituire base fissa dal momento che l’Agenzia delle Entrate, nella risposta a interpello numero 53/2023, ha chiarito che la base fissa “Può essere costituita anche da un locale o da una stanza di proprietà di altri soggetti che, tuttavia, deve essere a disposizione. Ciò implica che il lavoratore autonomo italiano deve poter contare in qualunque momento su detta base fissa (principio del possesso delle chiavi) o quanto meno nei giorni contrattualmente stabiliti.

Dunque, se di base fissa si tratta, allora è necessario rivolgersi ad un professionista locale per i conseguenti adempimenti previsti dalla normativa di detto paese che, quasi certamente, prevedono l’apertura della posizione Iva. Il reddito dichiarato all’estero (secondo le modalità locali9 dovrà essere indicato anche nella dichiarazione dei redditi italiana nel quadro RE le cui istruzioni al rigo RE2, colonna 2, prevedono “Nel rigo RE2, colonna 2, va indicato l’ammontare lordo complessivo dei compensi, in denaro e in natura, anche sotto forma di parteci­pazione agli utili, al netto dell’Iva, derivanti dall’attività professionale o artistica, percepiti nell’anno, compresi quelli derivanti da attività svolte all’estero ed escluse tutte le spese relative all’esecuzione di un incarico conferito e sostenute direttamente dal committente che non costituiscono compensi in natura per il professionista (art. 54, comma 5, del TUIR).  Non si ritrova nei righi successivi riservati all’evidenziazione delle spese sostenute una analogo passaggio secondo cui sono vanno incluse anche quelle sostenute all’estero, ma non sembra potersi dubitare che queste possano essere indicate in corrispondenza dei relativi righi e partecipano alla determinazione del reddito complessivo di lavoro autonomo con le regole previste dalla normativa del Tuir (e non con le regole della normativa estera). Dunque, il reddito estero potrebbe non coincidere con il reddito italiano, così come l’aliquota fiscale estera potrebbe non essere uguale all’aliquota Irpef italiana. È un dato di fatto ineluttabile. Nel quadro CE (credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero) del Modello Redditi PF, fascicolo 3, si potrà recuperare, nei limiti di quanto previsto dall’articolo 165 del Tuir, l’imposta estera.

E’ evidente che è necessario conservare la dichiarazione dei redditi estera, le quietanze di pagamento delle relative imposte e la documentazione fiscale di supporto attestante gli incassi e i costi e spese sostenuti all’estero per eventuali controlli dell’agenzia delle entrate.

 

Professionista residente che svolge attività estero senza base fissa in Italia in assenza di convenzione

Se la prestazione professionale è resa all’estero da un lavoratore autonomo residente in Italia, pur non dotato di una base fissa nel paese estero, potrebbe accadere che il paese estero ne preveda comunque la tassazione.

Ad esempio, in Francia, l’assoggettamento all’imposta sul reddito (IR) non è legato alla nazionalità del contribuente ma, come in Italia, al principio di territorialità. Infatti, sono assoggettate a IR sia le persone fisiche che hanno il domicilio fiscale in Francia per i redditi ovunque prodotti, sia le persone fisiche che non hanno il domicilio fiscale in Francia per i redditi prodotti all’interno de territorio francese. In questo caso è previsto un prélèvement à la source. Identica normativa vige in Germania. E’ evidente che non si può fare a meno di una analisi puntuale a secondo del paese estero in cui è stata svolta l’attività.

Senonché, la maggior parte delle convenzioni stipulate dall’Italia prevede l’esclusione da tassazione nel paese estero in assenza di base fissa, in questo caso i redditi sono imponibili soltanto nello stato in cui il professionista risiede, vale a dire in Italia.

 

Convenzione contro le doppie imposizioni – Articolo 14 – Professioni indipendenti
1. I redditi che una persona fisica residente di uno Stato contraente ritrae dalla prestazione di servizi personali a carattere indipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tali servizi non siano prestati nell’altro Stato contraente e la persona fisica disponga abitualmente in detto altro Stato di una base fissa per l’esercizio delle sue attività, ma in tal caso i redditi sono imponibili in detto altro Stato unicamente nella misura in cui sono attribuibili a detta base fissa.

2. L’espressione «servizi personali a carattere indipendente» comprende, pur senza esservi limitata, le attività di carattere scientifico, letterario, artistico, educativo e pedagogico, nonché le attività indipendenti dei medici, avvocati, ingegneri, architetti, dentisti e contabili.

 

 

Senonché, questa esenzione, se prevista dalla convenzione, deve essere necessariamente richiesta dal soggetto residente in Italia (al committente se questi è tenuto ad operare una ritenuta) ed è subordinata alla accettazione del committente medesimo. Se il committente non accetta di non operare la ritenuta il lavoratore autonomo italiano può richiedere il rimborso dell’importo trattenuto all’amministrazione finanziaria estera tramite l’apposita modulistica

Sul sito agenzia elle entrate si legge che “I soggetti residenti in Italia, per ottenere il rimborso dell’imposta estera o l’applicazione diretta delle aliquote ridotte previste dal Trattato fiscale in vigore con lo Stato estero, devono attivarsi, producendo, in linea di massima, al soggetto non residente che corrisponde i redditi (ente pagatore) e/o all’Amministrazione fiscale estera, il modello eventualmente predisposto dall’Autorità fiscale estera stessa o un’apposita istanza. Il modello generalmente contiene un’attestazione di residenza ai fini tributari in Italia, che il contribuente dovrà farsi firmare e timbrare da parte di qualsiasi Direzione Provinciale dell’Agenzia delle Entrate. Per facilitare l’erogazione del rimborso o l’applicazione della aliquota ridotta prevista dal Trattato fiscale, l’Agenzia delle Entrate ha predisposto un modello di attestazione di residenza fiscale per i soggetti residenti, che il contribuente potrà presentare, nel caso in cui il Paese estero, fonte del reddito, non abbia predisposto alcun modello (Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 10 luglio 2013 – pdf). Tuttavia, alcune Amministrazioni estere non accettano l’attestato di residenza fiscale adottato dall’Agenzia delle Entrate e richiedono la compilazione di un proprio modello ad hoc, con l’apposizione di timbro e firma da parte del competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate. La richiesta di rimborso deve essere corredata della documentazione atta a comprovare il prelievo effettivo dell’imposta. Si consiglia di consultare il sito ufficiale dell’Amministrazione fiscale estera, per avere informazioni aggiornate sui modelli predisposti dalle stesse al fine di ottenere il rimborso dell’imposta estera o l’applicazione diretta delle aliquote agevolate previste dal Trattato.”.