ETUC sulla direttiva sulla trasparenza salariale

La Confederazione europea dei sindacati ha espresso le proprie perplessità sull’adeguatezza degli strumenti previsti dalla direttiva

In risposta alla proposta sulla trasparenza salariale recentemente presentata dalla Commissione Europea, la Confederazione europea dei sindacati ha espresso le proprie perplessità circa l’adeguatezza degli strumenti previsti dalla direttiva.

Difatti, pur contenendo buoni principi, la direttiva non sarebbe sufficiente a dare alle lavoratrici e ai sindacati il potere di contrattare in maniera efficace la parità di retribuzione. Al contrario, la direttiva porrebbe almeno tre ostacoli al raggiungimento della parità salariale:

  • Solo le ditte con più di 250 dipendenti sono tenute ad effettuare verifiche salariali e piani d’azione, escludendo di fatto il 67 per cento circa di tutti i dipendenti dell’UE che lavorano per PMI, spina dorsale dell’economia di molti paesi europei. Questa soglia è più alta di quella prevista dalla legge italiana sulla trasparenza salariale che si applica invece alle aziende con più di 100 dipendenti; ciò non fa che minare notevolmente il valore rappresentato dalla direttiva europea per le donne italiane.
  • Trattandosi di “stessa retribuzione per un lavoro di pari livello”, la direttiva lascerebbe ai datori di lavoro la facoltà di decidere quali lavori possono essere paragonati tra loro ai fini della parità della parità di retribuzione.
  • La direttiva conferirebbe un ruolo ai “rappresentanti dei lavoratori” e non ai sindacati, dando la possibilità ai datori di lavoro di scegliere a propria discrezione coloro che andrebbero a ricoprire il ruolo.

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