In cerca di feeling

La libera professione perde di anno in anno appeal tra le nuove generazioni. Una tendenza che preoccupa anche perché si incrocia pericolosamente con un’altra: quella del calo demografico destinato a impattare duramente sui livelli occupazionali. Per recuperare terreno tra i giovani e tornare a crescere gli studi professionali devono aprirsi alla multidisciplinarietà e fare della digitalizzazione e della formazione un punto di attrattiva forte per la popolazione junior

di Paolo Feltrin – da Il Libero Professionista Reloaded #17

 

Nonostante un saldo occupazionale in attivo, la libera professione perde progressivamente appeal tra le giovani generazioni.
Un trend iniziato durante gli anni della pandemia, quando l’emergenza sanitaria ha causato la chiusura di 24 mila attività professionali e alzato un’onda lunga di incertezza economica che non è ancora rientrata.

Per rendercene conto basta guardare i numeri che riguardano i medici di medicina generale passati dai 45.400 del 2012, a 42.428 nel 2019 per arrivare ai 39.270 del 2022. Numeri che disegnano una perdita del 13,5% in dieci anni, nonostante la crescita esponenziale della domanda sanitaria. Se poi andiamo a vedere quanti medici a 5 anni dalla laurea scelgono la libera professione i numeri sono ancora più impressionanti. Stando ai dati di Almalaurea, Consorzio Interuniversitario, infatti, questi sono passati dal 25,4% del 2014 ai 13,1% del 2022. Una figura professionale storica con prospettive future incerte visto che oltre la metà dei medici in attività oggi ha più di 27 anni di anzianità lavorativa alle spalle.

E la situazione è simile anche per altre categorie professionali. Da qui la preoccupazione sulle  prospettive future del mercato del lavoro negli studi professionali che non riescono più ad attrarre neolaureati. Una tendenza che incrocia pericolosamente quella del declino strutturale demografico, destinato a impattare duramente sui livelli occupazionali, dove tra il 1996 e il 2021 si nota un tracollo del 46% tra i giovani under 30.
Le cause

Un quadro complesso che va analizzato nel dettaglio per capire le motivazioni che lo hanno determinato in modo da trovare soluzioni ad hoc che consentano alla libera professione di tornare a essere una chance di lavoro interessante per le nuove generazioni.  Il punto è proprio questo: perché i giovani percepiscono il lavoro autonomo come un rischio?  Le risposte vanno cercate nelle possibilità di guadagno e di carriera più elevate offerte da un’occupazione da dipendente, nelle maggiori tutele, nella digitalizzazione e nell’intelligenza artificiale che potrebbero rivoluzionare il lavoro all’interno degli studi professionali (come del resto già accaduto altrove) e, infine, nelle minori responsabilità che, apparentemente richiede un lavoro all’interno di un’organizzazione.

Disoccupazione (tecnologica), redditi (più) bassi, alti costi (burocratici) costituiscono una sorta di incubo distopico per qualsiasi giovane voglia oggi intraprendere la libera professione. Se a tutto questo, poi, aggiungiamo il minore riconoscimento sociale che per forza di cose discende da queste  tre grandi forze che premono sul futuro dei professionisti il quadro, già negativo,  si fa soffocante.

La riprova, per quanto sgradevole in epoca di politica correctness, viene dalla progressiva femminilizzazione delle libere professioni, in particolare quelle storiche, quasi che le gerarchie lavorative avessero trovato un altro canale per differenziare in modo implicito le carriere maschili da quelle femminili. Basti pensare  che nel 2022 in  Italia -più o meno come nel resto dell’Europa- ogni 100 laureati maschi si contato 136 laureate donne, come pure  in quai tutte le professioni nella classe di età con meno di 35 anni, le donne superano sempre il 50%.

 

Come ritornare glamour

Che fare per riportare la libera professione in auge tra le giovani generazioni? Risposte certe -come al solito- non ce ne sono, tuttavia qualche soluzione può esserci. Per prima cosa, invece di lamentarsi dei mala tempora currunt, andrebbe rispolverato lo spirito suggerito a metà anni trenta da John Maynard Keynes quando scriveva,  in un periodo altrettanto turbolento,  la sua opera maggiore Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta  e affermava che  «la difficoltà non sta tanto nelle idee nuove, ma nell’evadere dalle vecchie idee, le quali, per coloro che sono stati educati come noi, si ramificano in ogni angolo della mente». Ai professionisti di domani è richiesta innanzitutto questa disposizione mentale, l’unica davvero utile in ogni epoca di transizione.

In secondo luogo, il tema della digitalizzazione va preso sul serio, fuori cioè dalla retorica con la quale si cerca di ammorbidirne gli effetti prossimi venturi. Se il futuro è quello di una maggiore pervasività delle tecnologie informatiche e digitali la prospettiva ineludibile è quella di una trasformazione profonda del lavoro libero professionale. Il pericolo non è quello di scomparire, ma sottovalutare le caratteristiche future che, grazie alla digitalizzazione, assumerà un profilo lavorativo rimasto pressoché immutato per circa due secoli.  Va poi considerato che una rinnovata strategia digitale apporta efficienza, crescita degli Studi e attrattiva verso le giovani generazioni per la professione.

 

Sperimentare per tornare a crescere

La conseguenza, già oggi palpabile, è l’arcaicità dello studio professionale individuale, una sorta di marchio di fabbrica del libero professionista dei bei tempi andati. Sperimentare i mille modi per crescere nelle dimensioni aziendali diventa allora una prima strategia per adeguarsi a the times they are a-changing, come canta Bob Dylan. Poi c’è l’alleanza con le nuove tecnologie, l’esatto contrario della resistenza in trincea, anche a prezzo delle conseguenze delle maggiori efficienze in questo modo raggiungibili, senza dimenticare che un prezzo l’ICT ce l’ha – è inutile nasconderselo – ed è in termini di minori posti di lavoro. Da ultimo, la specializzazione segmento per segmento non è più la pepita d’oro che tutti richiedono e alla quale tutti i professionisti dovrebbero aspirare. Al contrario appare decisiva la capacità di offrire il massimo di competenze multidisciplinari in un unico punto di offerta.

Si tratta di sfide che spiegano la riluttanza giovanile a imbarcarsi nell’avventura di aprire uno studio professionale ma, al contempo, sono anche le priorità alle quali dare risposta da parte delle associazioni di rappresentanza degli interessi dei professionisti. Sulla capacità di offrire risposte adeguate si gioca infatti la loro legittimità futura.