Pronti a fare la nostra parte

L’apertura di Giorgia Meloni sul ruolo centrale dei corpi intermedi nell’agenda politica del prossimo Governo apre uno spiraglio al dialogo e getta le basi per un rapporto più inclusivo tra governo e parti sociali. Parla il presidente Stella: «Siamo all’inizio di un nuovo ciclo politico che può rilanciare il ruolo cardine dei liberi professionisti per affrontare le emergenze economiche e dare fiato alla ripresa del Paese

Di Giovanni Francavilla. Da il Libero Professionista Reloaded #7

 

«Non intendiamo fare da soli, credo nei corpi intermedi, nella serietà di chi vive i problemi ogni giorno. Non ho mai creduto che la politica potesse dare da sola le risposte migliori a qualsiasi problema. La politica deve avere il buon senso di ascoltare e decidere, ma anche l’umiltà di chiedere a chi vive le questioni nel proprio quotidiano quali siano le soluzioni migliori». Alla sua prima uscita pubblica dopo il voto del 25 settembre scorso, la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, traccia un solco rispetto alle tendenze tecnocratiche, e un po’ atomistiche, che nelle ultime stagioni avevano declassato i corpi intermedi a comparse della scena politica, ai margini dei processi normativi del mercato del lavoro, della crescita e della competitività del sistema produttivo e intellettuale italiano. Uno strappo netto rispetto al passato, ma anche un messaggio forte e chiaro che riapre il dialogo con le forze sociali del Paese. Che il presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella, ha accolto con grande interesse.

 

Presidente Stella, nel suo discorso a Milano Giorgia Meloni, riferendosi ai corpi intermedi, ha detto “aspettatevi di essere coinvolti”. Stiamo entrando in una nuova fase della politica della concertazione?

L’apertura della presidente Meloni è senza dubbio un segnale di grande importanza che restituisce valore e dignità alle parti sociali; un riconoscimento diretto del loro ruolo e dei loro valori che diventano essenziali in un momento così impegnativo per la nostra economia. Oggi siamo di fronte a un nuovo ciclo della vita politica del Paese e, se queste sono le premesse, i professionisti sono pronti a interpretare con responsabilità il loro ruolo di intermediari qualificati, di facilitatori competenti, nei rapporti tra Pubblica Amministrazione, imprese e cittadini.

 

È una critica velata a chi voleva rottamare il dialogo sociale?

Per anni una certa politica ha cercato di disintermediare la funzione dei corpi intermedi, pensando che bastasse qualche slide o un tweet per dialogare con imprese e cittadini o, peggio, sostituire la democrazia rappresentativa con quella diretta trasformando la politica in una sorta di reality show. Abbiamo visto com’è andata a finire.

 

Qual è esattamente il compito dei corpi intermedi?

Svolgono una funzione fondamentale di collegamento tra le istituzioni e la cittadinanza nella rappresentanza di interessi che altrimenti rimarrebbero confinati nel limbo del silenzio. Ma non si tratta solo di tutelare interessi di parte, seppur legittimi; abbiamo visto, per esempio durante la pandemia, come le parti sociali abbiano colmato un vuoto lasciato dai partiti, supplendo alle carenze della politica e dei servizi pubblici. Esiste una lunga tradizione in Italia del ruolo sociale dei corpi intermedi che oggi prosegue grazie all’attività del Cnel.

 

Quali sono allora i temi sui quali vi aspettate di “essere coinvolti”?

Il nostro obiettivo è quello di mettere nelle mani del prossimo Governo un asset strategico per fronteggiare l’emergenza e dare fiato alla ripresa del Paese. Un asset che è dato dalla trasversalità di competenze delle professioni. Non esiste ambito economico, sociale o culturale che non investa l’esperienza e l’attività quotidiana di milioni di liberi professionisti. E se davvero il nuovo esecutivo intende coinvolgere i corpi intermedi, può trovare in Confprofessioni un unico interlocutore che abbraccia ogni singola professione: dalla salute all’economia, dal lavoro alla cultura, dalla giustizia all’ambiente.

 

E se fossero le solite promesse della politica?

Per ora non abbiamo motivo di dubitare delle dichiarazioni della presidente Meloni. La situazione del Paese è davvero complicata ed esige realmente soluzioni che la politica da sola non può dare. Aggiungo che l’assenza di dialogo tra istituzioni e corpi intermedi alla fine crea solo dei cortocircuiti che pagano i cittadini.

 

A che cosa si riferisce?

Gli esempi non mancano, certo. La passata legislatura, come del resto le precedenti, ha spesso trascurato il ruolo di parte sociale delle professioni e oggi ci troviamo in moltissimi casi di fronte a norme confuse e incoerenti, che hanno avuto pesanti ripercussioni sui cittadini e sugli stessi professionisti. Pensiamo, ad esempio, al Superbonus 110% e agli altri bonus edilizi: se ci fosse stato un confronto a monte, ci saremmo risparmiati plateali errori e una pletora di modifiche normative che dopo mesi di correzioni, stop e ripartenze alla fine riconducono alla figura del professionista quale garante degli interventi legati al Superbonus. Stesso discorso potremmo fare per la delega fiscale, per il decreto Semplificazioni o per la riforma della Pubblica Amministrazione: temi che coinvolgono in prima persona i professionisti che ogni giorno devono combattere contro la burocrazia e le sue procedure amministrative spesso ridondanti e inutili.

 

In quali altri campi i professionisti possono dare una mano concreta al prossimo Governo?

Sicuramente nell’attuazione del Pnrr e delle riforme ad esso collegate. Al di là delle singole missioni, molte delle quali investono trasversalmente le attività professionali, il Piano deve aprirsi alle spinte evolutive che caratterizzano il nostro mercato, favorendo la digitalizzazione e le aggregazioni anche multidisciplinari tra professionisti, per rendere il sistema più competitivo nel contesto internazionale. Poi è chiaro che la messa a terra del Pnrr non può prescindere potenziamento della capacità della P.A. nel gestire gli obiettivi e l’erogazione delle risorse.

 

E che c’entrano i professionisti con la Pubblica Amministrazione?

Nessuno meglio dei professionisti conosce pregi e difetti della P.A. Sono loro a svolgere funzioni di consulenza nell’intermediazione tra l’amministrazione e i privati in tutte le fasi di implementazione del Piano, tenendo però separate le funzioni degli uffici tecnici delle amministrazioni dalle attività di competenza dei liberi professionisti. È proprio nella P.A. che il contributo dei liberi professionisti può diventare la carta vincente.

 

Come?

Penso, per esempio, alla devoluzione di funzioni pubbliche ai professionisti, che può contribuire ad alleggerire ed efficientare i processi amministrativi e rendere più accessibile e trasparente l’amministrazione per imprese e cittadini, nel rispetto degli obiettivi concordati con l’Unione europea.

 

Nel programma del centrodestra spicca l’ipotesi del taglio del cuneo fiscale. Siete favorevoli?

Non siamo contrari a priori al taglio del cuneo fiscale, ma alla luce dell’attuale congiuntura economica, dell’inflazione che erode il potere d’acquisto delle famiglie e dei lavoratori, sarebbe auspicabile maggiore prudenza. Crediamo infatti che l’ipotesi di un taglio del cuneo fiscale sia un’arma a doppio taglio per gli effetti che si determinerebbero sulla finanza pubblica. Più opportuna ed efficace potrebbe essere invece la nostra proposta che coniuga sviluppo, produttività e salari.

 

Che cosa proponete?

Detassare gli aumenti salariali concordati dalle parti sociali, per fronteggiare la perdita del potere d’acquisto delle famiglie, senza aggravare un costo del lavoro già insostenibile. Oggi il 63% dei contratti collettivi nazionali di lavoro sono scaduti o in fase di rinnovo, come quello degli studi professionali. La dinamica dei redditi determinata dai rinnovi contrattuali può essere sostenuta da una strategia politica indirizzata ad agevolare i Ccnl più rappresentativi, arginando la piaga del dumping contrattuale che, oltre a rappresentare un elemento di concorrenza sleale per imprese e studi professionali, comprime tutele e dinamiche salariali dei lavoratori.

 

Le politiche del lavoro possono essere una spina nel fianco del nuovo Governo?

Dipende da una molteplicità di fattori e dagli stimoli che il prossimo esecutivo riuscirà a dare per sostenere l’occupazione e aumentare i salari. Una rivisitazione del reddito di cittadinanza può essere un punto di partenza per orientare meglio le risorse e dare una spinta ai datori di lavoro che assumono. Prima di tutto occorre tagliare il costo del lavoro per riavvicinare la domanda e l’offerta e rendere più competitivo il sistema produttivo e professionale. Ma bisognerà anche affrontare con decisione questioni cruciali che in prospettiva rischiano di destabilizzare il mercato del lavoro e il sistema previdenziale italiano.

 

Quali questioni?

Uno dei problemi che più è rimasto sottotraccia nel dibattito politico è il calo demografico del Paese. Il tasso di natalità in Italia non garantisce un ricambio di popolazione in equilibrio e il declino demografico strutturale è destinato nel prossimo futuro a ridisegnare il profilo della forza lavoro. Le stime ci dicono che nel 2030 in Italia gli over 65 anni saranno oltre 16 milioni e la spesa pensionistica dovrebbe salire al 16,7% del Pil. Al di là di opportune politiche per la famiglia, serve un piano choc per favorire l’accesso dei giovani nel mercato del lavoro, in particolare nel settore della libera professione.

 

Esiste un’emergenza giovani nella libera professione?

È il primo e più urgente intervento di sistema che ci attendiamo dalla nuova classe politica. Da diversi anni assistiamo a un crescente “travaso” di neolaureati dal lavoro professionale a forme di lavoro dipendente. Ancor più allarmante il fenomeno della migrazione di giovani talenti che per affermare le proprie competenze professionali sono costretti a emigrare e, conseguentemente, il nostro Paese si vede costretto a importare professionisti dall’estero. Quello che chiediamo al prossimo Governo è l’impegno di varare un piano straordinario per sostenere l’occupazione giovanile nella libera professione, proprio per non disperdere quel patrimonio di competenze economiche, tecniche, scientifiche e culturali che fino a oggi hanno sostenuto il sistema Paese.

 

L’equo compenso è ancora una priorità per i professionisti?

Certamente, abbiamo sempre sostenuto e continueremo a sostenere la legge sull’equo compenso. È un principio di uguaglianza tra lavoratori, un impegno per l’affermazione della dignità professionale, ma anche la cifra del livello di trasparenza tra la pubblica amministrazione e i professionisti.

 

Il disegno di legge sull’equo compenso, però, avrebbe dovuto essere approvato nel rush finale della scorsa legislatura, ma le forze politiche non hanno raggiunto un’intesa. C’è ancora la volontà politica di varare una legge che si trascina da oltre 10 anni?

Durante la campagna elettorale abbiamo raccolto l’impegno di tutte le forze politiche e, in particolare, di Fratelli d’Italia, di condurre in porto il disegno di legge Meloni, correggendo alcuni passaggi che francamente non avevano nulla a che fare con l’obiettivo della norma di tutelare i professionisti.

 

Da quali correttivi bisogna allora ripartire?

Due su tutti: l’abolizione delle sanzioni disciplinari a carico del professionista e la rimozione dei poteri di regolamentazione economica delle attività professionali affidata agli ordini, che di fatto avrebbero reso inesigibile da parte del professionista il diritto a una giusta remunerazione della prestazione svolta. Superati questi ostacoli vedremo finalmente concretizzarsi una legge dalla parte dei professionisti.

 

L’equo compenso però non è l’unico ostacolo alla piena affermazione dei diritti dei professionisti. Negli incontri pre-elettorali con i candidati politici avete sollevato il tema della pari dignità tra lavoro autonomo e dipendente. Quale riscontro hanno avuto le vostre richieste?

La disparità tra soggetti “garantiti” e “non garantiti” è una minaccia che rischia di trasformarsi in una frattura sociale. C’è un profondo gap da colmare: ai professionisti devono essere assicurate misure di welfare e maggiori tutele nell’ambito dell’assistenza sanitaria, come per esempio, la maternità. Solo recentemente il problema ha cominciato a far breccia nella classe politica e, al netto della propaganda pre-elettorale, esiste un autentico interesse di numerosi partiti politici ad affrontare il tema nella nuova legislatura.

 

Da dove si comincia?

Dal riordino degli incentivi. In questo ambito l’attuale quadro legislativo è quanto di più disorganico presente nel nostro ordinamento, un labirinto normativo che molto spesso esclude i professionisti dagli incentivi e dalle agevolazioni che invece cadono a pioggia sulle imprese. La revisione sistematica degli strumenti di incentivazione delle attività produttive è un primo passo, ma occorre intervenire alla radice del problema, mettendo sullo stesso piano liberi professionisti e pmi, soggetti economici che concorrono entrambi alla crescita del Pil nazionale.