REPowerEU, professionisti alla riscossa

Il Governo è a caccia di 15,9 miliardi di euro per finanziare i progetti stralciati dal Piano (dissesto idrogeologico e rigenerazione urbana), ma serve anche una correzione normativa per migliorare la governance. Il primo step punta a una gestione unitaria del Pnrr e dei fondi di coesione. E sul fronte della transizione digitale ed energetica l'esecutivo scommette sulle competenze

di Laura Ciccozzi – da Il Libero Professionista Reloaded #17

Come superare i ritardi sugli investimenti del Pnrr? Dove trovare le risorse per gli interventi stralciati dal Piano con la revisione dello scorso agosto? Quali misure inserire nel REPowerEU, il nuovo capitolo di investimenti per la transizione ecologica, su cui il confronto tra il Governo e i tecnici della Commissione europea è ancora aperto? E soprattutto come migliorare la governance del Piano nazionale con un intervento normativo che risolva le criticità attuative che si sono riscontrate? Su questi scottanti temi è ripreso, lo scorso 26 settembre, il confronto in Cabina di Regia del Pnrr dopo la pausa estiva. Certamente la situazione appare oggi più tranquilla rispetto all’inizio dell’estate, quando le verifiche sul conseguimento degli obiettivi della terza rata (per il secondo semestre 2022) erano ancora in corso, i traguardi della quarta rata (scaduta a giugno) risultavano in massima parte non raggiunti, e pertanto da revisionare, e i tecnici del Governo erano impegnati in un intensissimo lavoro di riscrittura del Piano comprensivo anche del REPowerEU. E invece, in poche settimane l’Italia ha ottenuto l’autorizzazione della Commissione al pagamento della terza rata e l’approvazione del Consiglio Affari Generali alle modifiche degli obiettivi della quarta per un totale complessivo di 31 miliardi di euro.

DOPPIO BINARIO

Ma, accanto alla soddisfazione per i risultati raggiunti, il Governo è consapevole del fatto che il cronoprogramma del Piano, con le sue scadenze semestrali, rimane invariato e non concede tregua. La prossima scadenza (31 dicembre) è dietro l’angolo e il 2026, anno di conclusione del Piano, non è poi così lontano. Ecco dunque spiegata la scelta, da un lato, di stralciare quei progetti che risultano inattuabili nelle tempistiche originariamente previste e, dall’altro, di revisionare ulteriormente la governance per accelerare sui progetti. L’impegno del Governo per i prossimi mesi si concentrerà, dunque su due fronti. Da un lato trovare risorse alternative per finanziare i 15,9 miliardi di investimenti stralciati, molti dei quali sono stati già avviati: si va dagli interventi per la riduzione del rischio idrogeologico ai progetti di rigenerazione urbana, a una parte delle nuove strutture sanitarie. Dall’altro lato, adottare un intervento normativo per la correzione delle criticità attuative senza il quale, evidentemente, non vi è revisione che tenga.

BILANCIO IN CHIAROSCURO

A due anni dall’avvio, i tempi appaiono maturi per un primo bilancio. Certamente, il Pnrr si è scontrato con molteplici ostacoli. Gli effetti negativi della guerra in Ucraina, in termini di difficoltà di reperimento dei materiali e aumento dei costi dell’energia, hanno gravato, e molto, sulla fase di avvio degli investimenti con gare andate deserte o non aggiudicate e lavori mai partiti. Ma altri sono gli elementi di debolezza sistematici evidenziati, ad esempio, dalle relazioni sull’attuazione presentate dalla Corte dei Conti: l’inefficiente gestione delle risorse e dei processi da parte delle amministrazioni titolari degli interventi; la complessità delle pratiche per l’accesso ai fondi; i ritardi cumulati nella espressione di pareri e nel rilascio di autorizzazioni da parte di autorità pubbliche nazionali e locali; il mancato coordinamento tra più soggetti attuatori, l’inadeguatezza dei sistemi di monitoraggio, le difficoltà di rendicontazione secondo i criteri europei.

SOLUZIONI INEDITE

Storia vecchia, qualcuno potrebbe dire, ma oggi resa attualissima dal gravoso impegno che ci si è assunti con il Pnrr e che sta spingendo il Governo verso la ricerca di soluzioni inedite, come ha affermato il ministro per gli Affari europei e il Pnrr, Raffaele Fitto, durante l’incontro della cabina di regia. La prima, di natura tecnica: adottare una gestione unitaria delle risorse europee che inglobi il Pnrr e i fondi di coesione della programmazione 2021-2027. Si tratterebbe di una riorganizzazione complessiva che, seppur non priva di criticità attuative, fornirebbe un orizzonte temporale più ampio per l’attuazione degli interventi. La seconda, di natura politica: coinvolgere la società civile sulle scelte di definizione della governance e dei contenuti del Piano. Così, gli incontri della Cabina di Regia consentono il confronto tra Governo, enti locali, imprese e associazioni di categoria sulle cose da fare e su come farle. E in tale sede – grazie all’impegno di Confprofessioni e alla presenza di interlocutori interessati ad ascoltare le nostre istanze – si sta definendo il ruolo dei liberi professionisti nel Pnrr. Un ruolo dai contorni inizialmente poco definiti, e che oggi, invece, emerge con forza crescente.

PROFESSIONISTI IN CAMPO

Quella attuale è certamente una fase delicatissima con l’attuazione delle riforme, nonché la “messa a terra” degli investimenti e, grazie al REPowerEU, lo stanziamento di nuove risorse su interventi ad alta complessità tecnica. C’è il Piano Industria 5.0, un nuovo incentivo a sostegno della duplice transizione digitale ed ecologica delle industrie. Ci sono le comunità energetiche, su cui si attende a breve una nuova regolamentazione. C’è l’efficientamento energetico degli edifici: se il Superbonus 110% con le regole attuali appare sul viale del tramonto, già si discute di nuovi incentivi tarati sulle regole della Direttiva Case Green in discussione al Parlamento europeo. E c’è, a fare da sfondo, il tema delle competenze – o della mancanza di esse – che sino a qualche tempo fa era il convitato di pietra di ogni discussione su riforme e investimenti ma che oggi viene citato espressamente nel Recovery e nelle interlocuzioni politiche.

RIPARTIRE DALLE COMPETENZE

Il Governo ha espresso la necessità di avviare un piano di formazione dei dipendenti pubblici sui temi della transizione ecologica e delle tecnologie digitali ad essa correlate. Ma la formazione riguarderà anche i lavoratori dell’industria, con il Piano Nuove Competenze Transizioni del ministero del Lavoro che promuove la conclusione di accordi tra le imprese e gli attori chiave della formazione al fine di contrastare efficacemente lo skills mismatch attraverso percorsi di qualificazione e riqualificazione dei lavoratori. Si tratta di quelle competenze di cui i professionisti delle aree STEM, ma anche del settore giuridico ed economico, sono portatori e che sono, al contrario, difficilmente reperibili in altri ambiti.

CAMBIO DI PASSO

Occorre poi evidenziare il fondamentale ruolo dei professionisti nella riuscita del processo di trasformazione digitale dei procedimenti amministrativi, che rappresenta uno dei punti cardine nel cronoprogramma del semestre in corso. Per non parlare del fatto che, in virtù del loro ruolo di intermediari tra cittadini e imprese e amministrazioni pubbliche, i professionisti custodiscono e trasmettono quotidianamente un numero enorme di dati. E oggi il tema dello sviluppo dell’intelligenza artificiale, che presuppone il possesso, l’analisi e il processamento dei dati, è assolutamente centrale come dimostra anche il fatto che il Senato ha appena avviato un’indagine conoscitiva sull’argomento. In conclusione, gli ultimi sviluppi del Pnrr, e la direzione di sviluppo intrapresa con il REPowerEU, mettono al centro il ruolo e le competenze dei professionisti. E finalmente la politica se ne sta accorgendo.