L’autunno caldo del salario minimo

Il vertice di Agosto tra Governo e opposizioni si è concluso con un nulla di fatto e le posizioni politiche rimangono ancor distanti. Il dossier passa ora nelle mani del Cnel che dovrà mediare tra le parti e presentare un’istruttoria entro il 10 ottobre. Tiraboschi: «la possibile soluzione della questione salariale è nelle mani delle parti sociali e non della politica»

di Stefano Iannaccone (da il Libero Professionista Reloaded #16).

Un salario minimo per tutte le stagioni. Dopo aver assorbito gran parte del dibattito politico per l’intera estate, in autunno ci sarà la fase decisiva per capire la direzione di una eventuale riforma. Un via libera che sembra tutt’altro che scontato, a causa dell’elevato livello di polarizzazione politica, sentore di distanze difficili da colmare. Più che sul confronto la partita si gioca sul terreno dello scontro, in una logica di tatticismo elettorale che guarda alle Europee del 2024. Le opposizioni hanno infatti trovato terreno comune per lanciare la sfida al Governo su un tema percepito come popolare. Si parla di stipendi e gli elettori, in tempi di crisi economica e di pesante inflazione, hanno drizzato subito le antenne, al di là dei contenuti. L’esecutivo ha raccolto l’invito, consapevole di non poter ignorare la prima vera mobilitazione delle minoranze di questa legislatura. Il vertice a Palazzo Chigi prima della pausa agostana ha rappresentato il momento clou.

L’EVENTO CLOU

Per una volta, tutti insieme, si sono seduti tutti i leader allo stesso tavolo per discutere di salari e soluzioni per rendere più pesante la busta paga dei lavoratori. Un evento più unico che raro. Per il centrosinistra c’erano la segretaria del Pd, Elly Schlein, il presidente del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte e il numero uno di Azione, Carlo Calenda, insieme a Eleonora Evi e Nicola Fratoianni in rappresentanza dell’Alleanza verdi-sinistra e a Riccardo Magi, segretario di +Europa. Dall’altra parte del tavolo, si sono presentati in massa i big del governo, dalla premier Giorgia Meloni al vicepremier Antonio Tajani, passando per la ministra del Lavoro Marina Elvira Calderone al sottosegretario alla presidenza, Alfredo Mantovano. L’altro vicepremier, Matteo Salvini, ha scelto la presenza in video. L’unico assente tra i nomi forti del Parlamento era il leader di Italia viva, Matteo Renzi, che non ha sposato la battaglia dell’opposizione. «Se non abbassi le tasse sul lavoro, siamo condannati al derby tra due schieramenti che vanno al minimo. Inteso non solo come salario», è stato il giudizio dell’ex presidente del Consiglio. Un modo per tenersi le mani libere in qualsiasi direzione.

IL DOSSIER IN MANO AL CNEL

Il maxi-summit sul salario minimo è diventato, inevitabilmente, un momento mediatico, in cui ognuno ha potuto piazzare la propria bandierina. Addirittura c’è chi ha sospeso o spostato di qualche giorno le vacanze. All’uscita da Palazzo Chigi c’è stata la consueta sfilata di dichiarazioni a favore di telecamera, le opposizioni hanno biasimato il centrodestra, il governo ha ribadito le proprie perplessità. Nel concreto, però, Meloni ha proposto di affidare il dossier al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel) in qualità di organismo “terzo”. La scadenza indicata è stata quella dei due mesi: entro il 10 di ottobre l’istruttoria dovrà essere completata. Per questo motivo, il presidente del Cnel, Renato Brunetta, ha avviato il percorso per cercare una mediazione tra le parti, che si annuncia piuttosto complicata a causa delle distanze tra le forze politiche. In particolare il M5S e il Pd vogliono portare a casa l’approvazione della loro proposta di legge. Più aperta al confronto è invece Azione di Calenda. La traccia di lavoro del Cnel è presente nella memoria consegnata durante l’audizione dello scorso luglio, in commissione Lavoro alla Camera. Nel documento i partiti – soprattutto quelli di opposizione che hanno avviato la campagna sul salario minimo – vengono messi in guardia dalla tentazione di una soluzione semplicistica della questione del lavoro povero, quello mal retribuito. «La questione salariale non può essere limitata a un’alternativa sull’opportunità o meno di introdurre un salario minimo per legge, senza affrontare a monte i problemi principali che ostacolano la crescita dei salari dei lavoratori», si legge nella riflessione consegnata dal Cnel a Montecitorio. Nello specifico il Consiglio punta il dito contro i «conclamati ritardi nei rinnovi contrattuali aggravati dalla crescita esponenziale del costo della vita e dell’elevato cuneo fiscale, dall’impatto della precarietà, del part-time involontario e del lavoro povero». Da qui l’invito, tra gli altri, al coinvolgimento delle parti sociali e all’attenzione da rivolgere alla bassa produttività.

PARTI SOCIALI IN CAMPO

Un appello che viene rivolto anche da Michele Tiraboschi, docente di Diritto del lavoro all’Università di Modena e Reggio Emilia e coordinatore di Adapt: «Insistere su una soluzione legislativa per il salario minimo, significa non aver compreso le ragioni più profonde e ancora attuali». L’esperto sposta perciò il focus su un altro punto: «La verità è che, nel medio periodo, i salari reali degli italiani si possono alzare soltanto aumentando la produttività, evitando ovviamente che il valore aggiunto venga trasferito altrove». Quindi, conclude Tiraboschi nel suo ragionamento, «a conferma che il problema e la possibile soluzione della questione salariale è tutta nelle mani degli attori del nostro sistema di relazioni industriali e non certo della politica». La direzione intrapresa, dunque, è quella di una frenata all’iniziativa avviata dalle opposizioni. Per tutta risposta, comunque, il Partito democratico e il Movimento 5 stelle hanno lanciato una petizione online, che in poche settimane ha superato la soglia delle 300mila firme. Al netto delle polemiche sull’autenticità delle sottoscrizioni, resta un innegabile impatto mediatico. È facile quindi immaginare un “autunno caldo” sul fronte del salario minimo.