Questa aggregazione (non) s’ha da fare

Su cessioni, fusioni e scissioni persiste un differente trattamento fiscale e civilistico tra imprese e studi professionali. Una zavorra che frena le aggregazioni e il passaggio generazionale tra professionisti. Problema che il legislatore può risolvere in tre mosse

di Giangiacomo Buzzoni – da il Libero Professionista Reloaded #5

 

Tutti d’accordo: esponenti politici, ordini professionali, associazioni di categoria e giornalisti del settore sostengono in coro che i professionisti italiani dovrebbero aggregarsi fra loro per superare la crisi e affrontare in modo più competitivo la domanda del mercato. Nella realtà del mercato dei servizi professionali, però, il processo di aggregazione professionale in Italia si scontra ancora con una legislazione civilistico – fiscale che lo rende a dir poco scivoloso. Nel nostro ordinamento giuridico, infatti, esistono diverse norme che sostengono le aggregazioni e il passaggio generazionale nelle imprese, ma non gli studi professionali. Il “Bonus aggregazioni”, per esempio, prevede una deroga al principio di neutralità fiscale, riconoscendo, sia per la determinazione delle quote di ammortamento sia per quelle della plus/minusvalenza, i maggiori valori contabili derivanti da operazioni di fusione, scissione o conferimento d’azienda. Un provvedimento che agevola in modo significativo le operazioni straordinarie poste in essere dalle imprese.

Lo stesso vale per l’esenzione per il passaggio generazionale delle aziende familiari, prevista dall’art. 3, comma 4-ter, Tus, in base alla quale “i trasferimenti, effettuati anche tramite i patti di famiglia di cui agli artt. 768-bis e ss c.c., a favore dei discendenti e del coniuge, di aziende o rami di esse, di quote sociali e di azioni non sono soggette all’imposta”. Ma per il mondo professionale non esiste una norma analoga. Così regna l’incertezza su come disciplinare l’eventuale passaggio in favore degli eredi dei rapporti in essere con la clientela (infatti tale passaggio viene gestito sotto traccia). Ma, soprattutto, nessuna norma agevola il passaggio generazionale che si realizza in sede extra familiare, il quale nella prassi italiana configura una vera e propria operazione di aggregazione professionale, certamente da agevolarsi per le importanti potenzialità che essa ha in termini di rinnovamento degli studi, realizzazione personale, mantenimento dei posti di lavoro ed entrate fiscali.   E non è finita, perché gli studi professionali sono esclusi anche dalla rivalutazione facoltativa delle partecipazioni societarie, mediante pagamento di un’imposta sostitutiva, la cui ratio risiede proprio nella volontà del legislatore di favorire la loro circolazione e facilitare quindi i riassetti della proprietà delle società, garantendo, contemporaneamente, un gettito immediato all’Erario. Tutti strumenti normativi che, ovviamente, non sono tout court applicabili alle operazioni di aggregazione professionale in ragione della concettuale differenziazione fra azienda e studio professionale, ma che potrebbero essere adattati o potrebbero esserne creati di nuovi ad hoc per il mondo della libera professione.

Gli oneri fiscali smorzano le STP

Discorso parzialmente diverso sarebbe potuto valere per le STP (società tra professionisti), che possono essere organizzate tramite i modelli societari previsti dal codice civile, ma ogni possibile entusiasmo viene stroncato sul nascere, visto l’orientamento dell’Agenzia delle Entrate che, con diverse risposte ad interpelli, ha affermato che il conferimento di uno studio associato o di uno studio individuale in una STP non costituisce un’operazione fiscalmente neutra, ma deve considerarsi una cessione a titolo oneroso di beni. Pertanto, per quanto riguarda le operazioni di aggregazione professionale che passano da una iniziale monetizzazione in favore del professionista aggregato, trova applicazione l’art. 54 comma 1quater del Tuir, il quale stabilisce che concorrono a formare il reddito di lavoro autonomo i corrispettivi percepiti in conseguenza della cessione della clientela o di altri beni immateriali inerenti l’attività professionale. È di tutta evidenza che un tale regime fiscale possa ridurre non di poco l’appeal dell’operazione, in quanto su tali importi il professionista dovrà pagare non solo le imposte secondo gli scaglioni applicabili, ma anche i contributi previdenziali alla Cassa di competenza, con un onere complessivo finale che si assesterà spesso a cavallo del 50%.

Tre mosse per lo Stato

Per cambiare le cose lo Stato potrebbe per esempio prevedere: l’applicazione del Bonus Aggregazioni, anche alle aggregazioni professionali; la neutralità fiscale per il conferimento o trasformazione di attività professionali e studi associati in STP; una tassazione agevolata (ad esempio flat tax) per i professionisti, prossimi alla pensione, che intendono cedere la propria attività professionale. I vantaggi per lo Stato potrebbero essere molti: aumento del gettito derivante dall’aumento delle operazioni; mantenimento del posto di lavoro dei dipendenti/collaboratori degli studi oggetto di cessione; spinta alla realizzazione di organizzazioni professionali di dimensioni maggiori e più strutturate, in grado di fornire al cliente una gamma di servizi più qualificati e competitivi; possibilità, tramite strutture professionali più grandi, di fronteggiare la concorrenza delle società di consulenza straniere e delle cosiddette “catene” che stanno aggredendo il mercato; possibilità di progetti di realizzazione professionale per i giovani, i quali passino attraverso una iniziale aggregazione con un professionista più anziano e la conseguente possibilità di acquisire da lui sia la clientela sia tutto il suo know how professionale; l’opportunità per il professionista vicino alla pensione di pianificare un’uscita graduale dalla professione, senza disperdere tutta l’esperienza sviluppata in decenni di attività e realizzando una sorta di TFR di fine carriera.