Cresce il lavoro, ma la crisi resiste

Presentata a Roma l’indagine dell’Isfol: i contratti a tempo indeterminato aumentano del 29%. Le difficoltà maggiori tra i giovani e le neo mamme Nella prima metà del 2015 i nuovi contratti a tempo indeterminato hanno fatto registrare un aumento di 250mila unità (+29%) rispetto allo stesso periodo del 2014, a fronte di una flessione marcata
Presentata a Roma l’indagine dell’Isfol: i contratti a tempo indeterminato aumentano del 29%. Le difficoltà maggiori tra i giovani e le neo mamme

Nella prima metà del 2015 i nuovi contratti a tempo indeterminato hanno fatto registrare un aumento di 250mila unità (+29%) rispetto allo stesso periodo del 2014, a fronte di una flessione marcata del lavoro parasubordinato (-19%) e ad una sostanziale stabilità del lavoro a termine. Sono i dati diffusi dall’Isfol lo scorso 10 dicembre nel corso del convegno “Lavoro e crisi economica”, che ha visto la partecipazione della sottosegretaria al Lavoro, Teresa Bellanova. “Le analisi dell’Isfol sulle attivazioni di rapporti di lavoro hanno registrato un aumento di nuovi contratti a tempo indeterminato, in particolare attraverso la trasformazione di contratti a termine, sotto la spinta di un incentivo di tipo economico (tramite lo sgravio triennale disposto dalla legge di stabilità 2015) e di uno di tipo normativo (il contratto a tutele crescenti introdotto dal Jobs Act). Rimane da verificare se tali incrementi confermeranno un carattere strutturale o se le dinamiche osservate siano solo un effetto del combinato disposto di questi incentivi”, ha dichiarato Bellanova.

Secondo l’Isfol, la ripresa della domanda, degli investimenti e delle esportazioni, in aggiunta all’aumento dell’input di lavoro e al successivo incremento dell’occupazione stabile, consentono di formulare un bilancio positivo per la crescita e l’occupazione nella prima parte del 2015 e uno scenario favorevole per il 2016.

 

Rimane tuttavia la pesante eredità causata della crisi. Dall’indagine condotta sulle transizioni dalla formazione al lavoro, che ha coinvolto 45mila giovani fra i 20 e i 34 anni, è emerso che per i giovani, sempre più spesso, il lavoro è finalizzato principalmente al sostentamento economico e, in secondo luogo, al perseguimento dei propri interessi. Pur con alcune eccezioni, la coerenza tra il percorso di studi e le attività di lavoro assume sempre meno peso nella scelta del lavoro (per il 62,8% degli intervistati), a favore di un contesto occupazionale che garantisca una retribuzione adeguata (per il 92,5%) e, soprattutto, un livello elevato di salute e sicurezza sul luogo di lavoro (93,7%).

 

A risentirne anche le neo madri. Alcune di queste, che risultavano occupate al momento della gravidanza, non lo sono più dopo la nascita del figlio (22,3% delle occupate in gravidanza). Più della metà delle madri che hanno smesso di lavorare ha dichiarato di essersi licenziata o di avere interrotto l’attività che svolgeva come autonoma (52,5%): quasi una madre su quattro ha subito il licenziamento, mentre per una su cinque si è concluso un contratto di lavoro o una consulenza. Tra i motivi che hanno spinto le madri a lasciare il lavoro si osservano la difficoltà di conciliazione dei ruoli (67,1%) e l’insoddisfazione per il tipo di lavoro svolto sia in termini di mansioni che di retribuzione (13,5 %). Anche tra le donne occupate si registra la difficoltà di conciliazione, il 42,7%. Tra gli aspetti del lavoro che causano più frequentemente difficoltà di conciliazione, la quantità di ore di lavoro, la presenza di lavoro a turni o di orari disagiati e la rigidità dell’orario di lavoro.